La cantautrice Grazia Di Michele: che tristezza l’illuminazione di Roma con i led

La discussione ha infiammato social media e giornali solo per qualche giorno, sostenuta probabilmente da una strumentalizzazione solo politica, per poi spegnersi. Eppure bisogna continuare a discuterne, perché non è affatto una questione banale, e non è una questione politica. La vicenda dello smantellamento delle storiche luci romane — scrive Grazia Di Michele, cantautrice, musicoterapeuta e insegnante di canto, sull’Huffington Post — ci racconta di quanto sia profonda l’incuria per il patrimonio culturale e della superficialità con cui si sottomettono la bellezza e il buon vivere alla contabilità. Come siamo potuti arrivare a deturpare il centro storico della nostra capitale in questo modo? A Parigi nessuno si sogna di smontare le stazioni della metropolitana solo per svecchiare la metropoli o fare delle economie sulla manutenzione. Eppure se la sindaca della mia città operasse a Parigi, probabilmente le avrebbe già fatte sparire, in nome di quel genuino “senso pratico” che rappresenta la sua maggior credenziale. Le stazioni così decorate – direbbe – sono roba d’altri tempi, scomode da pulire, costose da riverniciare, uno spreco anche di materiale visto che, con la stessa quantità di ferro, di insegne e di ringhiere se ne potrebbero fare il doppio. Proprio questo, infatti, è lo spirito con cui Virginia Raggi è intervenuta su Roma con un provvedimento che elimina in un sol colpo gli storici lampioni e i lumi a forma di campana che decoravano il centro storico, per sostituirli con moderne lampade a led, dalla micidiale luce bianca da centro commerciale. Le nuove lampade promettono risparmi nella bolletta energetica e questo basta a giustificare la decisione. Qualcuno ha provato a spiegare che quei lampioni e le campane di vetro sono parte integrante del paesaggio romano, che sono elementi strettamente combinati con il disegno dei quartieri e con le architetture del centro, che la qualità e l’intensità della luce sono fondamentali per caratterizzare una città e renderla unica, che la luce disegna lo spazio e plasma le facciate dei palazzi e delle chiese, ma nulla è servito. A ogni rilievo di carattere storico, estetico e urbanistico l’amministrazione capitolina ha evidentemente contrapposto argomentazioni tecniche di paurosa concretezza: la luce serve a vedere e la bolletta costa.

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