Nelle metropoli dilaga l'”asocialità condominiale”
I sociologi, negli ultimi tempi, hanno studiato il comportamento dei componenti di alcuni condomini. I risultati hanno evidenziato un fenomeno allarmante che è stato definito “asocialità condominiale”. In parole povere oltre la metà degli abitanti di una scala non parlava mai con gli altri inquilini. I motivi erano vari: i differenti orari per andare al lavoro, per accompagnare i figli a scuola o per rientrare a casa la sera. Pochi e rari gli scambi, al massimo buongiorno e buonasera. Per gli studiosi aumenta il distacco con i vicini, i figli non giocano più per strada o nei cortili e in ascensore si entra con le cuffiette o guardando il display del cellulare. Gli scambi per necessità comuni sono pochi, la maggioranza diserta le riunioni di condominio, lasciando al massimo la delega anche se poi ci si disinteressa delle decisioni prese. Un tempo le riunioni erano fonte di accese liti, discussioni, contenziosi che si trascinavano nel tempo. Nella società in cui prevalgono l’isolamento e la riservatezza si litiga meno ma si perde il contatto fisico con il prossimo. Si diventa estranei nel proprio palazzo, nella via, non si frequenta più lo stesso negozio, lo stesso bar, lo stesso barbiere o la stessa parrucchiera. Si ha paura dell’altro e si va al supermercato tra la folla anonima per acquisti automatici da commessi e commessi sconosciuti. Naturalmente come in tutte le statistiche non sempre è così e alla “asocialità” si sostituiscono l’amicizia e la solidarietà.
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