ULTIME NOVITA’ DIRETTIVA EPBD (CASE GREEN)
La Direttiva EPBD, approvata di recente dal Parlamento europeo, fissa con chiarezza alcuni punti essenziali, principi generali ed indirizzi finalizzati all’efficientamento energetico degli edifici residenziali e commerciali. Per quanto potuto verificare, il testo normativo appare considerevolmente ammorbidito rispetto alla versione iniziale. Tale approccio rappresenta sicuramente un passo in avanti rispetto al testo originario e pone le basi per affrontare in modo più credibile la questione dell’efficientamento energetico di un patrimonio edilizio ormai vetusto, non solo in Italia ma anche nel resto d’Europa.
E’ sicuramente innegabile che ci troviamo di fronte a cambiamenti climatici epocali che richiedono interventi incisivi per tentare di contrastare tali fenomeni, e questo potrà essere realizzato anche agendo sul parco edilizio. Risulta pertanto di fondamentale importanza il raggiungimento degli obiettivi di riduzione dei consumi energetici legati anche al patrimonio edilizio nei tempi stabiliti. C’è poi un ulteriore aspetto, che solo apparentemente risulta disgiunto dal precedente, che è quello dell’efficientamento strutturale e antisismico.
E’ però più che opportuno intervenire in modo realisticamente graduale visto che la filosofia del “tutto subito” è materialmente ed economicamente impossibile da perseguire.
Le sfide ed il carico che si pone su ciascun Paese e direttamente sulle famiglie proprietarie di immobili sono molto consistenti; vediamo in grandi linee di cosa si tratta.
Dal 2025 non sarà più possibile usufruire di incentivi per le caldaie a combustibili fossili, anche se questo appare l’elemento meno importante visto che dal 2040 gli impianti termici con di generatori di calore di questo tipo sarà vietato; resteranno invece incentivabili i sistemi di riscaldamento ibridi (caldaie e pompe di calore). I Paesi membri dell’Unione, entro il 2030, dovranno provvedere a ridurre del 16% i consumi energetici degli edifici, considerando come anno di inizio il 2020; dovranno poi attestarsi ad una riduzione del 20-22% al 2035. Ma come sarà possibile realizzare tali obiettivi? Ciò sarà possibile sia attraverso la realizzate nuove costruzioni cosiddette ad “impatto zero” sia, soprattutto, attraverso opere di ristrutturazione di edifici esistenti. Secondo studi e valutazione eseguite sul parco edilizio esistente si dovrà intervenire, in una prima fase, sul 43% di quelli più energivori.
A partire dal 2028 sarà la volta degli edifici pubblici di nuova costruzione e dal 2030, tutte le altre tipologie di nuovi edifici, dovranno essere ad emissione “zero” di combustibili fossili. Entro il 2025 ciascun Paese dovrà presentare alla Commissione Europea un Piano nazionale di ristrutturazione che individui l’esatto percorso e le metodologie di intervento finalizzate a raggiungere il taglio dei consumi energetici derivanti da fonti fossili.
Rimangono, tuttavia, molti punti essenziali da chiarire e soprattutto fondamentali questioni di metodo da definire.
I principi stabiliti nella Direttiva consentono ai singoli Stati, fortunatamente, di trovare la combinazione di strumenti e tecnologie per raggiungere i migliori obiettivi comuni.
Ma analizziamo quali tecniche e tecnologie è opportuno mettere in campo al fine del raggiungimento, in primo luogo, della riduzione del 16% di consumi energetici per il 2030 e poi il secondo step previsto per il 2035 considerato, per altro, che la Direttiva approvata lascia a ciascuno Stato la libertà di utilizzo di modalità e mix di strumenti da utilizzare. Ad esempio, il doppio salto di classe energetica, se pur di fondamentale importanza, appare oggi troppo vincolante. Sicuramente è necessario mettere in campo mix di interventi differenti, opportunamente calati e progettati differentemente a seconda delle condizioni strutturali degli edifici, per raggiungere gli obiettivi fissati dalla Direttiva, garantendo efficienza tecnica e efficacia in termini di spesa. Sarà necessario individuare con precisione il campo di azione, definendo conseguentemente un mix di interventi di ristrutturazione profonda e di efficientamento energetico a seconda dello stato degli edifici.
Quello individuato e definito dalla Commissione non è un piano di massima. Sarà una prova estremamente difficile ed impegnativa sotto vari aspetti (tecnico, economico, burocratico, ecc.) ma sicuramente non mancano le competenze per elaborarlo.
C’è anche da auspicarsi che le Istituzioni predispongano un piano finanziario di supporto che renda fattibile un impegno e uno sforzo così consistente, che dovrà coinvolgere sicuramente anche i proprietari di immobili, evitando però cambi continui delle regole di finanziamento che comporterebbero effetti rovinosi.
Ma quali sono gli edifici più energivori? Per poter rispondere a questa domanda è necessario avere un quadro molto preciso delle condizioni di dispersione termica ed anche strutturale degli edifici su cui occorrerà intervenire. Sia la Direttiva, che un corretto approccio razionalmente efficace, prevede che gli interventi di ristrutturazione inizino dagli edifici più energivori, anche se in realtà non esiste con chiarezza un tale censimento. Sappiamo ad esempio, attraverso la banca dati Enea sulle Attestazioni di Prestazione Energetica, che gli immobili residenziali nelle classi meno performati, ovvero E, F e G rappresentano il 70,1% del totale dei 12 milioni di immobili presenti in Italia. Ragionando in termini di unità abitative occupate da residenti (escludendo quindi le case vacanza o seconde case), quelle più energivore, secondo la classificazione nazionale (classi E, F e G) sarebbero circa 13,4 milioni. Si tratta però di stime di massima che andrebbero approfondite e definite con maggiore accuratezza.
Ci aspetta una sfida importante, e per poter progettare nel modo più efficace possibile e senza sprechi di risorse finanziarie, un intervento così massiccio come richiesto dalla Direttiva Europea, è necessario un accurato livello di dettaglio sullo stato effettivo del patrimonio edilizio (non disponibile attualmente) in grado di definire una scala di priorità e un insieme di interventi differenziati a seconda delle condizioni dei singoli edifici su cui si intende intervenire.
Uno degli aspetti principali riguarda il rinnovo degli impianti termici. In un primo tempo saranno ammessi solo quelli ibridi e poi vietati quelli alimentati da fonti fossili (nel 2040). Anche se si tratta di un processo di medio-lungo termine occorre avere le idee chiare su molti aspetti, individuando cosa sia possibile e conveniente fare, nel breve e medio periodo. Quali scelte convenga adottare nel caso di urgente sostituzione degli impianti, anche perché le fonti alternative e non inquinanti per uso domestico (per es. idrogeno verde) non arriveranno molto presto nelle singole abitazioni in Italia. Occorre definire al più presto un modus operandi, perché non è possibile lasciare alle singole famiglie la definizione della scelta ottimale su aspetti tecnici che avranno peraltro costi considerevoli.
Altro aspetto di fondamentale importanza riguarda la predisposizione e definizione di un piano finanziario che consenta, attraverso un inevitabile affiancamento tra risorse pubbliche e private, di realizzare interventi di ristrutturazione nel lungo periodo.
Ovviamente, anche sulla scorta dell’esperienza del Superbonus, realizzare piani simili a totale carico dello Stato è assolutamente improponibile, così come è impensabile però immaginare che quote consistenti di un intervento che rientra nelle politiche per la tutela dell’ambiente, possano essere tutte poste a carico dei singoli proprietari degli immobili.
Dovrà necessariamente essere studiata ed individuata una soluzione di compromesso probabilmente più evoluta di una semplice detrazione fiscale considerando che i risvolti sociali di tale operazione non possono essere sottovalutati.
L’ultimo aspetto, non meno importante dei precedenti, riguarda i tempi dettati dalla Direttiva EPBD. Come detto la riduzione dei consumi di energia da fonti fossili vede una prima tappa (particolarmente consistente) nel 2030 ed una seconda tappa nel 2035.
Entro la fine del 2025 il nostro Paese dovrà definire e consegnare il Piano nazionale di ristrutturazione, documento particolarmente complesso.
I tempi operativi appaiono, dunque, particolarmente stringenti visto che per raggiungere i primi obiettivi del 2030 ci sono a disposizione meno di 4 anni e poi ulteriori cinque anni per il secondo step che, paradossalmente, sarà più complesso e oneroso del primo (interventi su edifici più nuovi da rendere ancora più efficienti).