I Wiener Philharmoniker a Roma

Dedicato a san Giovanni Paolo II, il tradizionale evento musicale ha visto impegnata anche la giapponese IlluminArt Philharmonic Orchestra, diretta da Tomomi Nishimoto, e tanti altri

di Gianluigi Indri
Il Festival internazionale di arte e musica sacra, giunto alla XIV edizione, è uno degli appuntamenti più importanti e coinvolgenti della vita culturale capitolina. Nelle principali basiliche si sono esibite le più acclamate e prestigiose orchestre internazionali: dalla Wiener Philharmoniker alla nipponica IlluminArt Philharmonic Orchestra. Quest’anno il Festival ha assunto un valore ancora più importante perché dedicato a San Giovanni Paolo II a dieci anni dalla morte, avvenuta il primo aprile 2005. Un santo e un papa, venuto dalla gelida e lontana Polonia, che ha amato moltissimo Roma, la città che rivive con questa manifestazione le antiche glorie di un passato ormai dimenticato, oltraggiato e calpestato. L’Urbe è vittima della sua bellezza, della sua storia, della sua sorniona disponibilità ad accettare culture e usanze diverse. Oggi viene dileggiata da bande di pericolosi delinquenti, spesso provenienti da altri Paesi, mentre la criminalità locale è riuscita perfino a inserirsi nei gangli dell’Amministrazione capitolina. La musica per un momento ci ha fatto dimenticare i drammi che in questi giorni hanno colpito anche l’interno delle inaccessibili mura vaticane. Siamo stati trasportati nell’incanto maestoso delle note immortali di Beethoven, Verdi, Gounod, Mahler, Bach, Mendelssohn Bartholdy. I principali musicisti eseguiti mirabilmente in questa rassegna. La musica straordinario vettore per avvicinarsi al divino e assaporare sensazioni mistiche e idilliache, mortificate dal comportamento criminale di uomini politici e amministratori.
La Fondazione non si occupa soltanto di organizzare concerti e diffondere la musica sacra ma fra le finalità che si prefigge c’è anche quella di valorizzare il patrimonio artistico e provvedere al restauro di opere d’arte in stato di deterioramento. Fra gli interventi ricordiamo quelli su alcune cappelle nelle principali basiliche riportate agli antichi splendori, oltre il rifacimento del prospetto esterno della Basilica di San Pietro e della Necropoli Vaticana. L’elenco è lungo. E i progetti ambiziosi.
Il programma musicale di quest’anno si è aperto con l’esecuzione della Settima e dell’Ottava sinfonia di Beethoven dirette da Herbert Blomstedt alla guida dei prestigiosi Wiener Philharmoniker. Un direttore purtroppo poco presente nei circuiti musicali della capitale, che ha guidato magistralmente uno dei principali complessi musicali del pianeta. Il suono dei Wiener ha trasmesso ai numerosissimi spettatori presenti una sensazione di elevato valore artistico e strumentale. L’Ottava rappresenta per il 42enne Beethoven un ritorno al passato nel solco del magistrale insegnamento di Haydn e del predecessore Mozart. Una vibrante armonia che si gusta in tutte le note. Di altra struttura è la Settima, capolavoro assoluto, culmine del suo genio. Wagner ha definito la sinfonia  «l’apoteosi della danza. È la danza nella sua suprema essenza, la più beata attuazione del movimento del corpo». 
Dalle armoniose forme della Settima all’impeto travolgente del Requiem verdiano, eseguito nella Basilica di San Paolo fuori le mura, dall’IlluminArt Philharmonic, orchestra giapponese guidata dalla brava Tomomi Nishimoto, che ha fatto rivivere il dolore e l’angoscia delle penetranti note del compositore. Le struggenti note del Dies Irae suonano monito per un Occidente, complice di queste situazioni. Soltanto un grande musicista come Verdi poteva trasmetterci queste sensazioni «che solo un genio poteva scrivere», come affermava Brahms, autore anch’egli di una bellissima Messa. Verdi trova nella drammaticità delle esplosioni sonore del Requiem, una ragione al turbamento della sua anima inquieta. L’uomo e il musicista, colpito nei più profondi affetti, che s’interroga sulla stessa esistenza di Dio.
Tomomi Nishimoto ha eseguito nel corso del Festival anche il tradizionale canto cristiano antico giapponese dell’Orasho. Discendente da una famiglia di kakure kirishitan dell’isola di Ikitsuki vicino a Nagasaki, ossia di cristiani nascosti per difendersi dalle persecuzioni che investirono il Giappone a partire dal XVI secolo, la direttrice d’orchestra ha iniziato un lavoro di ricerca su queste antiche preghiere cantate che si ispirano ai canti gregoriani. Per lei costituiscono una fusione misteriosa tra occidente e cultura giapponese: «L’Orasho è cantato in Latino – precisa -, ma la melodia si è trasformata in un canto molto vicino alla musica indigena giapponese ».
Alla fine del 1500 iniziarono le prime impiccagioni di cristiani che continuarono a professare la loro fede in modo sotterraneo. Le persecuzioni durarono due secoli e mezzo, durante i quali la musica ha svolto un ruolo preminente per la loro forza religiosa. Oggi i giapponesi sono orgogliosi della loro orchestra, ammirata e seguita in ogni parte del mondo, che anche in questa edizione del Festival ha lasciato un segno del suo suono e stile.
Una rassegna di grande valore artistico e intellettuale che per alcune serate ci ha fatto dimenticare i dolori e le inquietudini della città eterna e del mondo circostante.

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