VA CONVOCATO ALL’ASSEMBLEA IL CONDOMINO CONFLIGGENTE?
Con la recente ordinanza n. 3192 del 2 febbraio 2023, la Cassazione – andando di contrario avviso rispetto ad alcuni suoi precedenti e ad una parte della dottrina – ha statuito che, in ipotesi di delibera assembleare, volta ad approvare il promovimento o la prosecuzione di una controversia giudiziaria tra il condominio ed un singolo condomino, venendosi la compagine condominiale a scindere di fronte al particolare oggetto della lite in base ai contrapposti interessi, non sussiste il diritto del singolo (in quanto portatore unicamente di un interesse contrario a quello rimesso alla gestione collegiale) a partecipare all’assemblea, né, quindi, la legittimazione dello stesso a domandare l’annullamento della medesima delibera per omessa, tardiva o incompleta convocazione.
La causa, sottoposta all’esame della Suprema Corte, traeva origine da un’impugnazione ex art. 1137 c.c., spiegata da un condomino, riguardo alla delibera approvata dall’assemblea del Condominio, relativa alla proposizione di un’azione giudiziaria proposta dallo stesso condomino nei confronti del Condominio, in cui l’attore si lamentava – per quel che qui interessa – che l’avviso di convocazione dell’assemblea non gli era stato comunicato nel termine di cui all’art. 66 disp. att. c.c.
Il Tribunale adìto, rigettando tale domanda, aveva argomentato nel senso che il suddetto condomino non aveva interesse ad impugnare la delibera de qua, stante che egli era in conflitto di interessi rispetto all’unico argomento all’ordine del giorno.
La Corte d’Appello, confermando la sentenza di prime cure, aveva osservato che la delibera, poi opposta, era stata approvata dall’assemblea unicamente per assumere la determinazione di resistere in giudizio a fronte della notifica di un atto di citazione dinanzi al Giudice di Pace da parte del condomino impugnante, il quale lamentava infiltrazioni nella sua proprietà esclusiva.
Pertanto, secondo il giudice distrettuale, relativamente a tale assemblea ed alla relativa discussione, l’appellante si trovava in situazione di conflitto di interessi, di talché si doveva escludere non solo il suo diritto di voto, ma altresì il ricorrere di un interesse a partecipare alla discussione sull’unico argomento all’ordine del giorno, rispetto al quale egli era la controparte del Condominio, come tale portatore di un interesse in conflitto con quello del Condominio stesso.
Il condomino, soccombente in entrambi i gradi di merito, ricorreva in cassazione, lamentando l’insanabile irregolarità della convocazione e della costituzione dell’assemblea condominiale, atteso che, rispetto all’argomento dell’ordine del giorno di quest’ultima riunione, lo stesso condomino – seppure escluso dalla relativa votazione sull’unico e conflittuale argomento – avrebbe avuto il diritto ed il sicuro interesse, oltre che ad essere ritualmente e tempestivamente preavvisato e convocato, a partecipare alla riunione, accedendo alla discussione preliminare.
I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto tale ricorso infondato.
Invero, la delibera approvata dall’assemblea del Condominio riguardava unicamente un’azione giudiziaria promossa dal condomino impugnante nei confronti del Condominio.
Orbene, l’art. 66, comma 3, disp. att. c.c. – a seguito della riformulazione operatane dalla legge n. 220/2012 – precisa che, in caso di avviso omesso, tardivo o incompleto degli aventi diritto, la delibera adottata è annullabile, ma su istanza (soltanto) dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati.
La Riforma del 2012 ha così tratto le necessarie conseguenze, sotto il profilo processuale, dalla sistemazione della fattispecie dell’omessa convocazione nell’àmbito dei rimedi sostanziali operata dal supremo organo di nomofilachia (v. Cass. S.U. 7 marzo 2005, n. 4806), spettando la legittimazione alla domanda di annullamento solo alla parte nel cui interesse esso è stabilito dalla legge (v. anche Cass. 23 novembre 2016, n. 23903; Cass. 18 aprile 2014, n. 9082; Cass. 13 maggio 2014, n. 10338).
Secondo il consolidato orientamento di legittimità, allora, nell’ipotesi di controversia tra condominio e uno o più condomini, la compagine condominiale viene a scindersi di fronte al particolare oggetto della lite, per dare vita a due gruppi di partecipanti al condominio in contrasto tra loro, nulla significando che, nel giudizio, il gruppo dei condomini, costituenti la maggioranza, sia rappresentato dall’amministratore, per cui si considera nulla per impossibilità dell’oggetto la delibera che, con riferimento ad un giudizio che veda, appunto, contrapposti il condominio ed un singolo condomino, ponga anche a carico di quest’ultimo, pro quota, l’obbligo di contribuire alle spese sostenute dallo stesso condominio per il compenso del difensore, trattandosi di spese per prestazioni rese a tutela di un interesse comunque opposto alle specifiche ragioni personali del singolo condomino, e neppure, perciò, trovando applicazione in tale ipotesi l’art. 1132 c.c. (v. Cass. 23 gennaio 2018, n. 1629; Cass. 18 giugno 2014, n. 13885; Cass. 25 maggio 1970, n. 801).
La considerazione di tale scissione della compagine condominiale in due gruppi di partecipanti, portatori di contrapposti interessi, in quanto gli uni promotori dell’azione su cui si debba deliberare e l’altro o gli altri – come nella specie – destinatari di tale azione che il condominio voglia intentare, non può non determinare implicazioni sullo stesso diritto di partecipare all’assemblea, sul modello di quanto avviene in situazioni di condominio parziale, ragion per cui si modifica la stessa composizione del collegio e delle maggioranze (argomentando da Cass. 27 settembre 1994, n. 7885).
Ad avviso degli ermellini, la fattispecie che registra, in relazione alla delibera assembleare volta a promuovere una lite o a resistere ad una domanda, uno o più condomini controparti processuali dei restanti partecipanti al condominio, non va, pertanto, ricondotta alla disciplina del “conflitto di interessi” estesa dall’art. 2373 c.c., giacché quest’ultimo si manifesta soltanto in sede di assemblea, ossia al momento dell’esercizio del potere deliberativo, e verte sul contrasto tra l’interesse proprio del partecipante al voto collegiale e quello comune all’intera collettività e, perciò, anche a lui stesso, il che induce a computare quest’ultimo ai fini sia del quorum costitutivo che di quello deliberativo, salva la sola facoltà di astenersi dall’esercitare il diritto di voto (v. Cass. 28 settembre 2015, n. 19131).
Viceversa, riguardo alla delibera assembleare relativa alla controversia tra il condominio ed il singolo condomino, quest’ultimo – come detto – si pone come portatore unicamente di un interesse contrario a quello rimesso alla gestione collegiale.
Neppure è giuridicamente configurabile – secondo i magistrati del Palazzaccio – quello che il ricorrente delinea come “interesse a partecipare alla discussione preliminare”, atteso che all’assemblea devono essere convocati gli aventi diritto ad intervenirvi ed a votare (v. artt. 1136, comma 6, c.c. e 66, comma 3, disp. att. c.c.), integrando la preventiva convocazione un requisito essenziale per la validità della delibera, e non esiste un distinto diritto alla convocazione per la sola fase preparatoria della riunione, consistente nel dibattito antecedente al momento deliberativo, poichè l’intervento del partecipante nella discussione assembleare – al di fuori della peculiare ipotesi prevista, in caso di rapporto di locazione, dall’art. 10, comma 2, della legge n. 392/1978 – è finalizzato a portare a conoscenza degli altri presenti le ragioni del proprio voto (di assenso o dissenso) sull’argomento contenuto nell’ordine del giorno.
Si ritengono, invece, maggiormente condivisibili gli argomenti spesi dagli stessi magistrati del Palazzaccio in una remota pronuncia (v. Cass., 23 ottobre 1956, n. 3865), secondo la quale la disposizione dell’art. 1136, comma 6, c.c. deve essere osservata qualunque possa essere l’oggetto cui l’assemblea è chiamata a deliberare, e così anche quando si debba proporre di agire o resistere giudizialmente per la tutela degli interessi del condominio, per cui l’omesso avviso del condomino in conflitto di interessi basta a determinare la nullità – ora annullabilità – della delibera, senza che possa addursi in contrario che il voto dello stesso, non debitamente convocato, non avrebbe, in ogni caso, potuto avere influenza alcuna ai fini della maggioranza, semplice o qualificata, prescritta dalla legge; del resto, anche successivamente i giudici di legittimità hanno ribadito il principio che, nella causa promossa da un condomino contro il condominio, l’assemblea, chiamata a dichiarare se debba costituirsi e resistere, non può deliberare, se non consta che sia stato invitato anche il condomino che ha promosso la causa (v. Cass., 22 febbraio 1995, n. 1980).
Il ragionamento espresso dagli ermellini contempla i seguenti passaggi motivazionali: l’ordinamento giuridico vigente, nel disciplinare la materia del condominio negli edifici, ha posto talune regole giuridiche inderogabili in ordine alla costituzione dell’assemblea condominiale ed alla validità delle delibere adottate dalla stessa, e, in particolare, il comma 6 dell’art. 1136 c.c. dispone che l’assemblea non può deliberare, se non consta che tutti i condomini siano stati invitati alla riunione.
Da tale norma, quindi, discende che, nel caso di convocazione dell’assemblea, ciascun partecipante al condominio, senza limitazione alcuna, ha diritto di essere regolarmente invitato alla riunione; a ciò induce la chiara lettera del capoverso citato, in cui si disconosce espressamente all’assemblea il potere di deliberare, ove non consti che “tutti” i condomini siano stati invitati alla riunione medesima; l’aggettivo indefinito che precede il sostantivo “condomini” – ora, a seguito della legge n. 220/2012, “aventi diritto” – ha, infatti, la funzione specifica di fissare l’àmbito soggettivo della disposizione relativa alla valida costituzione dell’assemblea, comprendendovi edittalmente il numero completo dei partecipanti al condominio senza alcuna limitazione, proprio in vista della loro condizione di portatori di interessi comuni.
Non sembra, infatti, che si possa negare la partecipazione alla riunione condominiale ad un condomino soltanto per il fatto che l’interesse di questi si trovi in una situazione di ipotetico conflitto con quella del condominio unitariamente considerato; la legge impone la presenza all’adunanza condominiale di tutti i partecipanti, ed anche di quelli in conflitto di interessi con il condominio, consentendo, altresì, una loro presenza attiva, nel senso di non vietare attività persuasive, che appaiono inoffensive a fronte della posizione contrastante degli altri partecipanti non confliggenti.
In questa prospettiva, risulterebbe, quindi, invalida la delibera adottata nell’ipotesi di illegittima esclusione del condomino dall’assemblea, e ciò – lo si ripete – anche qualora il voto (ipotetico) del singolo partecipante in conflitto di interessi con il condominio non dovesse risultare determinante ai fini del raggiungimento del quorum deliberativo, in quanto, con la sua partecipazione alla riunione, il medesimo condomino avrebbe potuto determinare un orientamento dei votanti in senso diverso da quello che si è in realtà manifestato con la votazione.
Peraltro, anche la giurisprudenza di merito si è orientata in tal senso, precisando, però, che il condomino confliggente, debitamente convocato, deve, poi, astenersi al momento della votazione relativamente a quegli argomenti dell’ordine del giorno su cui esiste il contrasto (v., tra le altre, Trib. Genova 26 settembre 2003; Trib. Chieti 11 ottobre 2000; App. Milano 5 maggio 1998; contra, Trib. Pescara 30 luglio 2003).