COSTITUISCE INDEBITA DIFFUSIONE DI “DATI PERSONALI” L’ESPOSIZIONE NELL’ANDRONE DELLA POSIZIONE DEBITORIA DI UN CONDOMINO
(articolo di commento per la rivista La Proprietà Edilizia a cura dell’ARPE di Roma)
Fa sorridere il ricordare che, nelle precedenti versioni della riforma della normativa condominiale, si era contemplata espressamente la possibilità dell’affissione della notizia della morosità in locali di uso comune per dieci giorni consecutivi, evidentemente con l’intento di sottoporre ad una “pubblica gogna” colui che non aveva pagato le quote (d’altronde, si era anche paventato che il condomino moroso non potesse votare in assemblea …. ).
Per fortuna, tali previsioni non sono confluite nella legge n. 220/2012, anche perché non affatto in linea con i rilievi a più riprese espressi dal Garante della privacy, segnatamente nella causa conclusasi con la decisione del 12 dicembre 2001, ed in seguito ribaditi nel Vademecum della privacy nel Condominio, emesso dallo stesso Garante il 10 ottobre 2013.
In quest’ottica, si rivela interessante una recente pronuncia della I Sezione della Cassazione, la quale ha avuto modo di affermare il principio secondo cui costituisce indebita diffusione dei dati personali, ai sensidel c.d. Codice della privacy, l’affissione, da parte dell’amministratore di un Condominio, nell’androne del palazzo accessibile a terzi, di un avviso di convocazione (già in precedenza comunicato ai singoli condomini) con allegato un ordine del giorno contenente la richiesta di conciliazione di un condomino in relazione ad un decreto ingiuntivo intimatogli dallo stesso Condominio, atteso che l’esposizione di informazioni sulla sua posizione debitoria rientra nel concetto di “dati personali”, il cui trattamento, in quanto inerente dati già in precedenza comunicati ai condomini, deve considerarsi ingiustificato ed eccedente rispetto al fine.
Nella fattispecie esaminata dai giudici di Piazza Cavour (con la sentenza n. 29323 del 7 ottobre 2022),era stata sottoposta allo scrutinio di questi ultimi la sentenza con cui il Tribunale aveva respinto la domanda di risarcimento dei danni proposta, ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. n. 196/2003, da un condomino nei confronti del suo Condominio e dell’amministratore.
Secondo la postulazione, tali danni erano conseguiti all’illegittimo trattamento dei dati personali,determinato, per un verso, dalla divulgazione, per mezzo di affissione in una bacheca condominiale esposta alla possibile visione di terzi, di un avviso di convocazione assembleare con relativo ordine del giorno indicante una richiesta di conciliazione riguardo ad un decreto ingiuntivo, e, per altro verso, dalla successiva consegna ai condomini, per il tramite di un’addetta alle pulizie, di un ulteriore documento, aperto e liberamente leggibile, teso a chiarire il motivo della convocazione suddetta con specifico riferimento alla posizione debitoria dello stesso condomino.
Il magistrato adìto aveva respinto la domanda: a) accertando che l’attore non avesse adempiuto all’onere della prova in ordine ai danni patiti e al nesso causale con il trattamento dei dati; b) ritenendo che tale trattamento fosse stato improntato al rispetto dei principi di pertinenza e non eccedenza rispetto ai fini, atteso che il dato inserito nell’ordine del giorno era, comunque, utile per far conoscere all’assemblea il motivo della convocazione; c) soggiungendo che non era stato provato il fatto che terzi soggetti, al di fuori dei condomini, avessero preso visione del documento, né che l’addetta alle pulizie avesse potuto leggerlo su fogli aperti; e d) escludendo che la lesione arrecata fosse grave e che il danno lamentato fosse serio.
Il condomino proponeva ricorso per cassazione, lamentandosi, innanzitutto, del fatto che il Tribunale non avesse ritenuto provato il danno senza considerare la rilevanza degli elementi presuntivi sottesi al fatto dedotto; fatto, quest’ultimo, integrato dalla lesione del diritto alla riservatezza dei dati personali di un soggetto (il ricorrente) avente nello stabile condominiale il proprio studio di avvocato, così da risentire necessariamente, quanto meno sul piano reputazionale presso i potenziali clienti, dell’illecita divulgazione di notizie relative ad ingiunzioni notificategli dal Condominio per morosità.
Si contestava, altresì, l’affermazione del Tribunale relativa alla mancanza di prove che terzi, o la stessa addetta alle pulizie, avessero preso visione dell’avviso di convocazione, atteso che tali circostanze si sarebbero dovute considerare incontestati.
Infine, si censurava il passaggio motivazionale della gravata sentenza, a proposito della pertinenza e non eccedenza della condotta di diffusione del dato mediante affissione in bacheca, la quale affissione non era affatto necessaria, visto che l’avviso di convocazione dell’assemblea era stato già comunicato a tutti i condomini.
Gli ermellini hanno reputato tutte queste doglianze nel complesso fondate.
Invero, il Tribunale aveva escluso l’illiceità del condotta posta al fondo della domanda di danni sottolineando tre rilievi: 1) che l’affissione dell’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale era stata effettuata quando l’avviso medesimo era stato già comunicato ai condomini; 2) che l’esposizione dei vari punti all’ordine del giorno di un’assemblea condominiale non potesse intendersi quale divulgazione di dati personali sensibili o, comunque, meritevoli di tutela; e 3) che la lesione lamentata non era grave né seria, e che il danno non era stato provato, avendo l’attore rinunciato alle prove orali e non avendo dimostrato l’effettiva presa di conoscenza dei dati da parte di terzi.
Tuttavia – ad avviso dei magistrati del Palazzaccio – la prima affermazione è intrinsecamente in contrasto con la ritenuta non eccedenza del trattamento, la seconda è in apicibus giuridicamente errata, e la terza è lapidaria e non correttamente argomentata.
Sul punto, si è già avuto modo di stabilire che la disciplina del Codice in materia di protezione dei dati personali di cui al d.lgs. n. 196/2003, prescrivendo che il trattamento dei dati personali avvenga nell’osservanza dei principi di proporzionalità, di pertinenza e di non eccedenza rispetto agli scopi per i quali i dati stessi sono raccolti (v., in generale, Cass. 1° agosto 2013, n. 18443, in Giur. it., 2014, 1369, con nota diLoiacono), non consente che gli spazi condominiali, aperti all’accesso di terzi estranei rispetto al condominio, possano essere utilizzati per la comunicazione di dati personali riferibili al singolo condomino.
Ne consegue che – fermo restando il diritto di ciascun condomino di conoscere, anche di propria iniziativa, gli inadempimenti altrui rispetto agli obblighi condominiali – l’affissione nella bacheca dell’androne condominiale, da parte dell’amministratore, dell’informazione concernente le posizioni di debito del singolo condomino costituisce un’indebita diffusione di dati personali, come tale fonte di responsabilità civile ai sensi degli artt. 11 e 15 del citato Codice (v., in termini, Cass. 4 gennaio 2011, n. 186, in questa Rivista, 2011, n. 5, 48, commentata da Celeste, La bacheca condominiale non può esporre i morosi).
Il principio si coniuga con la precisazione che, ai sensi di legge, “dato personale”, oggetto di tutela, è “qualunque informazione” relativa a persona fisica, giuridica, ente o associazione, identificati o identificabili, anche indirettamente (v., tra le altre, Cass. 5 luglio 2018, n. 17665, in Notiz. giur. lav., 2018, 619).
In questa prospettiva, appare ovvio che, in tale nozione, debbano essere ricondotti i dati dei singoli partecipanti ad un Condominio, seppur raccolti e utilizzati per le finalità di cui agli artt. 1117 ss. c.c.
Certamente, ragioni di buon andamento e di trasparenza giustificano una comunicazione di questi dati ai condomini, su iniziativa dell’amministratore in sede di rendiconto annuale, nel corso dell’assemblea o nell’àmbito delle informazioni periodiche trasmesse nell’assolvimento degli obblighi scaturenti dal mandato ricevuto, e anche su domanda di ciascun condomino, investito di un potere di vigilanza e di controllo sull’attività di gestione delle cose, dei servizi e degli impianti comuni, che lo facoltizza a richiedere, in ogni tempo, all’amministratore informazioni sulla situazione contabile del condominio, comprese quelle che riguardano eventuali posizioni debitorie degli altri partecipanti (v., in proposito, Cass. 23 gennaio 2013, n. 1593, in Arch. loc. e cond., 2013, 306).
Tuttavia, non può sostenersi che sia giustificata e non eccedente l’affissione in una bacheca, esposta al pubblico e soggetta alla possibile visione da parte di un numero indefinito di soggetti, di un avviso di convocazione del tenore di quello indicato dallo stesso Tribunale – “richiesta di conciliazione del Sig. X a riguardo di decreto ingiuntivo subìto per consuntivo anno 2010 e decisioni sulla causa in corso” – in particolar modo quando, come pure contraddittoriamente avvenuto, l’avviso risulti esser stato già comunicato a tutti i condomini, e anzi proprio l’avvenuta previa comunicazione avrebbe dovuto indurre ad opinare semmai l’ultroneità dell’affissione in bacheca, e dunque l‘eccedenza del trattamento rispetto al fine.
Né – ad avviso del massimo consesso decidente – si può sostenere, nei termini così genericamente affermati dal giudice a quo, che, palesata la situazione illecita e forniti gli elementi dai quali potersi presumere l’effettività di un danno, vi fosse altro da dimostrare ad onere del danneggiato.
Nell’art. 15 del Codice in materia di dati personali, il legislatore ha ritenuto opportuno estendere la tutela anche ai danni non patrimoniali, a mezzo di uno strumento risarcitorio di grande ampiezza teso a garantire l’effettiva operatività della corrispondente sanzione a carico del responsabile dell’illecito e la conseguente maggiore incisività della norma afferente.
In tema di danno non patrimoniale, il danneggiato può ricorrere – e normalmente ricorre – alla prova presuntiva, tenuto conto della natura immateriale del bene della vita concretamente leso (v. la fondamentale Cass. S.U. 11 novembre 2008, n. 26972, in Nuova giur. civ. comm., 2009, I, 102, annotata da Navarretta); pertanto, una volta stabilita la lesione degli interessi protetti, il danno va liquidato su base equitativa, mediante un modello di stima prudenziale che è connaturato alla natura del diritto leso.
Nella specie, l’attore aveva allegato un danno non patrimoniale correlato all’incidenza del trattamento illecito sul “piano reputazionale”, essendo egli un avvocato con studio nel medesimo Condominio ed essendo stata l’affissione esposta per oltre un mese in una bacheca ben visibile anche da parte dei suoi potenziali clienti; tale l’allegazione era più che sufficiente a soddisfare il relativo onere, per cui al Tribunale competeva di accertare se l’illecito fosse stato effettivamente commesso nei termini detti, onde provvedere, di conseguenza, alla determinazione equitativa del danno in proporzione alla lesione dell’interesse protetto.
Da questo punto di vista, risultava apodittico il rilievo – contenuto nella gravata sentenza – secondo cui sarebbero stati da escludere “recisamente” i connotati di gravità e di serietà della lesione allegata; invero, il danno non patrimoniale, risarcibile ai sensi dell’art. 15 del d.lgs. n. 196/2003, è determinato da una lesione del diritto fondamentale alla protezione dei dati personali tutelato dagli artt. 2 e 21 Cost. e dall’art. 8 della CEDU, ed esso non si sottrae alla verifica della “gravità della lesione” e della “serietà del danno”, in quanto anche per tale diritto opera il bilanciamento con il principio di solidarietà ex art. 2 Cost., di cui quello di tolleranza della lesione minima è intrinseco precipitato (v., ex multis, Cass. 15 luglio 2014, n. 16133, in Danno e resp., 2015, 339, con nota di Ceccarelli).