Tasse e debito pubblico penalizzano i giovani
Prevale il pessimismo o l’ottimismo? In economia, a differenza della politica, non è più tempo del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. Il pendolo dei bilanci delle famiglie è in terreno negativo. Lo dimostrano i dati che hanno sfornato nel mese di maggio 2016 l’Istat, l’Ocse, la Banca d’Italia, la Commissione di Bruxelles, il Fondo monetario internazionale. Il lungo periodo di recessione ha inciso su numerosi aspetti del sistema economico e sociale, anche se in modi e manifestazioni differenti. Sono emerse tuttavia criticità sia in ordine al sistema redistributivo che nel campo produttivo. Dopo 7 anni ininterrotti di segno negativo il Pil nel 2015 è passato al segno più (zero virgola otto), i consumi sono rimasti di segno negativo (-0,4), ossia pochi comperano o sono disposti a farlo in presenza di incerte prospettive future, la disoccupazione si è attestata all’11,9 dal 12,4 del 2014. La realtà è che i disoccupati ufficiali sono poco più di 3 milioni e i Neet (gli inattivi, i giovani cioè non occupati e non più in formazione) sono 2,3 milioni, a cui aggiungere i pensionati con assegno sotto i mille euro che sono milioni.
Al contrario aumentano le tasse e il numero delle bollette da pagare. Il mese di giugno per gli italiani è simbolo della dichiarazione dei redditi e del versamento dell’anticipo per l’Imu (seconde case, negozi ed altri edifici diversi dalla prima abitazione e dai capannoni imbullonati), delle tasse comunali sui rifiuti, sull’acqua e delle addizionali Irpef comunali e regionali. Un salasso continuo con ampie polemiche sulle modalità e i tempi del pagamento del canone Rai nella bolletta dell’energia elettrica. E’ una lamentela generale: più di due terzi del reddito di una piccola azienda se ne va in tasse. E’ questa la conclusione di un artigiano che precisava: calcoli l’Iva al 22%, calcoli la Tari, la Tasi, l’Irpef, la previdenza, le addizionali; il risultato è che operatori e clienti perdono e vince solo lo Stato che poi spreca i miliardi che arrivano all’Erario. Nel consueto studio statistico di questo periodo risulta che Reggio Calabria e Bologna sono le città più tartassate e che i balzelli dal 2011 sono cresciuti del 7,3 per cento. Per esempio è da tempo che viene chiesto di escludere gli immobili strumentali dal pagamento dell’Imu o quantomeno di renderla deducibile.
La conferma è arrivata dall’Ocse mentre il ministro Padoan comunicava l’intenzione del governo di diminuire le tasse nel 2017. La mano del fisco sui salari è molto pesante. Il cuneo fiscale per i lavoratori (cioè il prelievo sulla retribuzione lorda) nel 2015 è ancora aumentato di 1,8 punti percentuali passando dal 47,2% del 2010 al 49 per cento (media europea del 35,9%). Il cuneo fiscale deriva da imposte sul reddito pari al 17,5 (dal 16,7 del 2014), da contributi a carico del dipendente 7,2 e da contributi a carico del datore di lavoro 24,3%. A peggiorare la situazione c’è la differenza di salario che per l’Italia l’Ocse ha calcolato in 27.808 dollari contro la media europea di 30.882 dollari, cioè circa 3 mila dollari in meno l’anno. I salari italiani sono più bassi quindi a causa delle tasse.
In compenso si parla di pensioni flessibili: se vai a casa prima, otterrai un trattamento ridotto che puoi integrare con un’assicurazione o mutuo in banca. La differenza verrà restituita quando si raggiungerà l’età massima pensionabile. Un gioco delle tre carte invece di creare lavoro. Non c’è da fidarsi neppure delle statistiche sui livelli di occupazione in Italia. Le cifre dei risultati del Jobs Act sono messe in dubbio non dalle diverse interpretazioni tra nuovi posti di lavoro e passaggio di situazioni precarie a contratti a tempo indeterminato ma dalla cosiddetta de-contribuzione (piena in un primo momento e decurtata in un secondo tempo) usata in modo illegittimo. Almeno 100 mila lavoratori risultano assunti per tre anni senza averne diritto. L’incremento di oltre 300 mila occupati registrato dall’Istat per effetto del Jobs Act finisce così nel calderone degli imbrogli italiani che comprende altri 20 mila finti dipendenti distribuiti su 500 aziende attraverso l’uso irregolare dei voucher per i versamenti di contributi di prestazioni lavorative occasionali. Dati incerti che si sommano alle conseguenze negative dei risparmiatori che avevano sottoscritto in buona fede le obbligazioni subordinate di Banca Etruria e delle altre tre banche salvate dal governo. Non solo le obbligazioni straordinarie sono risultate tossiche causando la bancarotta fraudolenta ma ora le procedure per i rimborsi sono complicate e sicuramente a danno dei clienti/ risparmiatori.
Chi ha provocato la montagna di sofferenze bancarie che sta producendo guasti a tutto il sistema economico? Certamente la cattiva gestione della cosa pubblica, il malaffare, la politica. A Napoli nel corso della giornata nazionale della previdenza è stato presentato un manifesto a favore delle nuove generazioni: meno debito o giovani senza futuro. La realtà dei conti dimostra che il debito cresce di circa 50 miliardi l’anno, nonostante le varie manovre governative, soprattutto a causa delle spese tra pensioni, sussidi, sanità, assistenza e previdenza e sprechi pubblici. Questa la sequenza del debito: era nel 2013 a quota 2.068 miliardi, salito l’anno dopo a 2.134 (+66 miliardi), cresciuto nel 2015 a 2.169,9 (+35 miliardi), a febbraio 2016 è salito a 2.214,9 (+ 45 miliardi) per toccare a maggio 2016 quota 2.228,7 milioni di neuro.
Un quadro disastroso. E la flessibilità che Bruxelles ha concesso consente di tirare avanti per tutta l’estate fino ad ottobre quando la Commissione (pur bonaria per motivi politici) verificherà se l’Italia ha tenuto conto delle raccomandazioni sugli squilibri macroeconomici riscontrati. Difficilmente potrà ottenere il via libera una Legge di Stabilità 2017 completamente poggiata sui debiti. L’unico sistema sicuro per ridurre i debiti è quello di pagarli. D’altra parte la legislazione di favore per i debitori pubblici e quella di favore per le banche sono contrarie ai principi di eguaglianza fissati dall’art. 3 della Costituzione. Se il governo continua ad indebitare il Paese la ripresa è sempre più lontana. Ogni generazione può consumare quello che produce ma può indebitarsi solo per lasciare opere pubbliche, infrastrutture e beni reali. Non per consumi correnti che in questa fase sono tra l’altro negativi e tanto meno per malgoverno e corruzione.
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