Impianto termico centralizzato: escluso il cosiddetto diritto di condominio

La Cassazione civile, sez. II, sentenza n° 1898/2015, stabilisce che, perché un bene possa dirsi comune, occorre una relazione di accessorietà ed un collegamento funzionale con le singole unità immobiliari. In base a detto postulato  negava l’applicazione al caso di specie della disciplina di cui all’ art. 1102 cod. civ., non potendosi ritenere il ricorrente comproprietario dell’impianto centralizzato di riscaldamento. A questo proposito la giurisprudenza di legittimità, già in più occasioni, ha affermato che nel condominio degli edifici “affinché possa ravvisarsi il diritto di condominio su un determinato bene, un impianto o un servizio comune, è necessario che sussista una relazione di accessorietà tra questi e l’edificio in comunione ed un collegamento funzionale tra i primi e le unità immobiliari di proprietà singola” (in tal senso: Cass. 15791/2003; Cass. 9093/2007). Ebbene, la Cassazione è tornata sul punto, ribadendo ancora una volta detto orientamento. Più nel dettaglio, la decisione in parola nasce dal ricorso di un condomìno condannato, sia in primo che in secondo grado, alla riduzione in pristino della situazione antecedente ad una serie di interventi che lo stesso aveva posto in essere su aree condominiali, comportando la modifica dell’impianto di riscaldamento ed interferendo sui servizi comuni. Il ricorrente lamentava violazione e falsa applicazione dell’art. 1102 c.c., asserendo che le modifiche apportate all’impianto termico centralizzato – peraltro affrontate a proprie spese, senza alcuna pretesa di rimborso da parte del Condominio – sarebbero state solo quelle necessarie per migliorare il godimento dell’impianto (in considerazione del suo cattivo funzionamento) e che in alcun modo i lavori avrebbero determinato mutamenti di destinazione della cosa comune. Il condomìno sottolineava altresì la differenza tra la nozione di innovazioni, cui fa riferimento l’art. 1120 c.c. – che richiede una delibera approvata con un numero di voti che rappresenti la maggioranza dei partecipanti al condominio, e che fa divieto di effettuare innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o sicurezza del fabbricato, che alterino il decoro architettonico, o che rendano talune parti comuni inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino – e quella di semplici modificazioni, di cui all’art. 1102 c.c., che presuppongono un intervento sulla cosa comune che non intacchi in modo notevole la sua entità sostanziale né la sua destinazione originaria, e che rientrano nel potere spettante ad ogni condomino, che se ne sobbarchi la relativa spesa. Egli affermava pertanto di avere agito legittimamente nell’ambito delle facoltà concesse dal citato art. 1102 c.c., e non avrebbe avuto alcuna necessità del previo scrutinio.

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