L’Ocse rivede al ribasso la stima di crescita dell’economia italiana

Il mondo frena, l’Europa è vulnerabile e l’Italia cresce poco. È un outlook all’insegna della grande cautela quello pubblicato dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo, l’ente che riunisce le economie più “ricche” del pianeta. L’Ocse infatti — scrive il Sole 24 Ore — ha rivisto al ribasso le sue stime per il Pil italiano per il 2016, prevedendo una crescita all’1%, 0,4 punti percentuali in meno rispetto all’outlook di novembre. Confermata invece la stima di +1,4% per il 2017. Il forte taglio alle stime sull’Italia arriva in un contesto in peggioramento per l’intera economia mondiale. Per il 2016, nell’aggiornamento intermedio rispetto agli Outlook semestrali, la previsione è di un Pil mondiale in progresso del 3%, come nel 2015, contro il +3,3% stimato nell’Outlook di novembre e per il 2017 il pronostico si ferma a +3,3%, contro +3,6%, in entrambi i casi una revisione di -0,3 punti percentuali. Secondo la tradizionale definizione del Fondo monetario internazionale, una crescita del Pil mondiale al di sotto del 3% equivale a una recessione.

 La crescita globale nel 2016 «non sarà più alta rispetto al 2015, che già segnava il tasso più lento degli ultimi cinque anni», rileva l’Ocse, spiegando che le stime sono state abbassate alla luce degli ultimi deludenti dati. La crescita sta rallentando in molte economie emergenti, le economie avanzate registrano «una ripresa molto modesta» e i bassi prezzi delle materie prime deprimono i Paesi esportatori. Commercio e investimenti restano deboli. La fiacca domanda porta a una bassa inflazione e una crescita inadeguata di salari e occupazione. Oltre a questo, «i rischi di instabilità finanziaria sono rilevanti. I mercati finanziari stanno rivalutando le prospettive di crescita, il che porta al calo dei prezzi azionari e a un’elevata volatilità». In questo contesto l’Ocse sottolinea la necessità di «una risposta politica più forte a sostegno della domanda. La politica monetaria non può funzionare da sola. Bisogna utilizzare maggiormente la leva fiscale e quella strutturale».

 

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