Sanremo, il “vigile in mutande” protesta: sono stato sfrattato ingiustamente

“A 54 anni mi sono ritrovato senza una casa, senza un lavoro, con la mia foto sbeffeggiata ogni giorno su tutte le televisioni e pure in mondovisione sul palco del Festival di Sanremo, preso in giro senza il minimo rispetto”: Fa fatica, Alberto Muraglia, “diventato famoso, purtroppo,” come il vigile in mutande di Sanremo, a raccontare i suoi ultimi quattro mesi di vita. L’indagato-simbolo del caso dei furbetti del cartellino di Sanremo – che ha visto concludersi l’attività della Commissione disciplinare del Comune, chiusa con 32 licenziamenti, 98 sospensioni, 40 tra sanzioni e rimproveri e 28 archiviazioni – continua a dichiararsi innocente, dice “di aspettare le decisioni dei giudici con grande fiducia” e nel frattempo sta “cercando di trovare altri modi per lavorare, che ho tre figli e con le mani in mano non ci so stare”. La Repubblica lo ha intervistato.

Muraglia, la sua foto della timbratura in mutande è tornata di moda anche in questi giorni. Il mese scorso a Modica, in settimana a Varazze.
“Sono condannato, ormai. Qualsiasi cosa succeda, e ovunque sia nel mondo, se una notizia riguarda la timbratura dei cartellini si tirano in ballo le mie immagini. E fa male”.

A Sanremo il suo caso è finito in uno sketch comico sul palco dell’Ariston, nei giorni del Festival.
“Non ha fatto ridere, e non è stato bello. Posso capire l’effetto mediatico delle mutande, ma far ridere la gente rendendo ridicolo in quel modo un padre di famiglia che si ritrova licenziato dopo trent’anni di onorato servizio, credetemi, non è stata una bella cosa. Le persone possono sbagliare, ma meritano comunque rispetto. E in quell’occasione penso che il pubblico non abbia neanche apprezzato granché”.

È stato sfrattato perché di fatto era il custode della stessa struttura in cui lavorava.
“Io, al momento della timbratura che ha fatto il giro del mondo, ero a casa mia. Il mio era l’appartamento di custodia: abitavo dentro lo stabile dove c’era la macchinetta di timbratura incriminata. Tra la porta di casa mia e la macchinetta ci sono sette metri di corridoio. E quelle telecamere che mi hanno ripreso, di fatto, in quel momento erano a casa mia”.

In che senso?
“La mia abitazione era nello stabile, e in quel momento ero l’unico dentro l’edificio, e soprattutto l’unico che poteva aprire, dall’interno, le porte dello stabile. Timbravo in mutande per fare prima, e andare subito a spostare le auto che dovevo far spostare. Di certo non per tornare a dormire, il mio turno partiva alle sei. Ero all’interno, certo che nessuno potesse vedermi, non rischiavo neanche di arrecare un danno di immagine all’amministrazione”.

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