NON CI RESTA CHE IL GIUBILEO

Si chiude uno degli anni peggiori di questi primi del XXI secolo.
Almeno tre i fattori di rischio: il terrorismo di matrice islamica; la crisi economica ( che dal 2008 coinvolge anche i paesi emergenti a partire dalla Cina e il Brasile); il futuro climatico del pianeta.
Tre obiettivi fondamentali per il progresso e lo sviluppo del mondo: vincere la paura sconfiggendo la matrice che semina odio e disgregazioni; riavviare la ripresa economica limando sacche di povertà e disuguaglianze; garantire la salute della madre Terra sconvolta da politiche industriali scellerate( non si tratta soltanto di diminuire l’anidride carbonica Co2) e da decisioni suicide come la deforestazione dell’Amazzonia.
A livello generale il disordine mondiale economico sta mettendo in crisi sistemi di vita, apparati industriali, prospettive di futuro, ambizioni e sogni delle generazioni future.
A peggiorare il quadro ci sono i conflitti geopolitici su cui s’innestano le spinte terroristiche di gruppi nazionalistici e soprattutto del nuovo nemico dell’umanità e della libertà di pensiero, quell’Isis che ha provocato le stragi di Parigi e Tunisia e dichiarato guerra al mondo occidentale, creando con mano militare il Califfato ossia il cosiddetto Stato islamico tra la Siria e l’Iraq.
Il terrorismo jihadista ( una cellula scoperta a Brescia proveniente dal Kosovo è sotto accusa per istigazioni all’odio razziale per aver diffuso minacce come “ l’Europa verrà disintegrata” e “ questo sarà l’ultimo Papa”) mira a seminare paure più profonde di quelle degli attentati alle Torri gemelle del 2001 nel cuore dell’America, a sconvolgere l’ordine mondiale, a reclutare militanti islamici e mercenari in vari paesi europei da convertire alla jhad, addestrandoli in Siria per compiere clamorose stragi, facendosi esplodere cinture ad alto potenziale.
Il quadro d’insieme che sta davanti agli occhi di giovani e anziani è quello di un puzzle impazzito i cui pezzi sono stati talmente rimescolati che è estremamente difficile ricomporre il mosaico.
C’è allarme perché sono stati commessi errori di strategia e perché sembra mancare la consapevolezza della gravità della situazione generale da parte della maggioranza dei leader mondiali, quasi tutti impegnati ad affrontare i problemi interni ed elettorali dei propri Stati, piuttosto che trovare soluzioni unitarie: in Europa, nel Patto Atlantico, nel Pacifico, nei Paesi dell’America latina, in Medio Oriente.
C’è delusione per gli atteggiamenti di molti big a partire dal presidente Usa Obama che si appresta al giro di boa d’uscita alla Casa Bianca. Senza entrare nei particolari della politica estera tra Putin, Holland, Cameron, Merkel, Erdogan, Rajoy il più emarginato e debole e incerto sembra il premier italiano Matteo Renzi, stranamente eccessivamente prudente sullo scacchiere mondiale.
L’Italia continua a pesare poco a livello internazionale e a cresce poco dal punto di vista economico. Con la fine dell’anno il PIL italiano si attesterà sullo 0,7-0,8 per cento mentre in Germania è dell’1,7, in Francia dell’1,2 e nell’area euro dell’1,6. Negli Usa il Pil sta crescendo del 2,3% mentre si allarga la crisi del Brasile ( disoccupazione però al 7,9 contro l’11,5 italiano) e rallenta l’economia cinese ( anche se il pil cresce del 7%).
Gli ultimi dati dell’Istat precisano che l’economia italiana rallenta e quindi è a rischio l’obiettivo del governo di fine anno fissato ad un pur modesto 0,9% di crescita.
Deludono gli investimenti, in grave difficoltà le esportazioni per l’instabilità delle tensioni mondiali, appena in movimento i consumi ( reggono solo gli acquisti dei prodotti alimentari), si aggrava la disoccupazione giovanile che supera la barriera del 40%, ancora sopra all’11,5% quella generale e calano le iscrizioni alle università e aumenta il numero dei giovani che fuggono all’estero alla ricerca del lavoro. Le liberalizzazioni restano una chimera.
Siamo ancora in stagnazione, cioè nella fase di variazioni modeste della crescita economica e del reddito pro capite. La crescita del Pil tende a zero come l’inflazione che dovrebbe invece salire ad almeno il 2%.
I lavoratori dipendenti a tempo indeterminato sono 14 milioni e 715 mila, appena 128 mila in più del varo dei provvedimenti governativi di sostegno ( bonus 80 euro, Jobs Act).
C’è infine l’incognita delle tasse. IL 16 dicembre si è pagato ancora l’Imu, la Tasi e la Tari mentre si attende il varo della Local tax che dovrebbe anticipare la riforma del catasto e aumentano le proteste per l’inserimento nella bolletta dell’energia del pagamento del canone tv e così i 53 miliardi delle nostre tredicesime torneranno in buona parte nelle casse dello Stato.
Il gioco in acque basse tra il premier e il suo Ministro dell’economia Padoan sulle prospettive dell’economia risente della volontà di imprimere ottimismo di fronte ad indirizzi di natura economica che vengono criticati dagli ambienti di Bruxelles,
Quando nella primavera del 2016 la Comunità europea emetterà il giudizio sulla legge di Stabilità lo scenario sarà completamente cambiato. Il Documento non poggerà più su dati reali.
A quella data saranno in atto altre conseguenze dalle nuove misure di stimolo della Bce e dalle decisioni al rialzo dei tassi da parte della Federal Riserve americana.
In realtà in questi ultimi 4 anni molte cose sono cambiate, in peggio, da quando nel novembre 2011 i tassi erano alle stelle, nessuno voleva comperare titoli Italia ( per speculazione), i Bot a 6 mesi erano scambiati sul mercato secondario all’8% e quelli a 10 anni al 7%. IN quei giorni Mario Draghi veniva nominato presidente della banca centrale europea( Bce).
Da allora ha continuato a ripetere “ faremo tutto il necessario”. Il programma di acquisto dei titoli di Stato da parte della Bce con il primo Quantitative easing ( 60 miliardi di euro al mese fino al settembre 2016) si è rivelato inadeguato nella lotta alla deflazione e a permettere il rialzo dell’inflazione.
La Banca centrale è stata così costretta ad inizio dicembre a rivedere il programma e a portare l’importo degli acquisti mensili a 80 miliardi e ad agire sui tassi sui depositi ( sotto il meno 0,20) per scoraggiare le Banche a parcheggiare la liquidità nei caveau di Francoforte e liberare risorse per le imprese e le famiglie. Ma le banche pressate dalle autorità europee a tenere in equilibrio i conti pena l’individuazione delle responsabilità anche personali delle sofferenze sono sempre più restie a concedere il credito a vaste clientele senza più rigide e stringenti garanzie.
Il cane allora si morde la coda. La Bce immette liquidità che le banche non utilizzano, cosicché le iniziative imprenditoriali e gli investimenti ristagnano.
In queste condizioni l’economia reale non può riprendersi.
Cosa ci vorrebbe? Tante cose a partire dal ristabilimento della fiducia nei confronti della politica e nelle decisioni. Un altro piano Marshall tipo quello del secondo dopoguerra con grandi opere immobiliari, autostradali e aeroportuali?
L’Italia ,osserva il rapporto Bes del 2015, è un paese spaccato per l’enorme divari tra Nord e Sud tra ricchi e poveri, quindi terreno di forti disuguaglianze e contrapposizioni. Il 20% della popolazione del Sud non può permettersi di sostituire gli abiti consumati, un quinto non si concede svaghi fuori di casa, i bambini non possono partecipare a gite scolastiche per ragioni economiche.
Aumenta il numero di persone che vivono in famiglia a bassa intensità lavorativa ( almeno un tetto ce lo hanno) e il 30% delle famiglie del Sud ha difficoltà ad arrivare alla fine del mese.
In conclusione solo il 27% della popolazione guarda con un certo ottimismo al futuro pensando che nel giro di 5 anni la sua situazione possa migliorare.
Nella paura e nella sfiducia e nella rassegnazione vive il resto degli italiani.
Non ci resta che il Giubileo della misericordia

P.S. Sul crac delle banche, a pag. 8-9, un articolo di Sergio Menicucci Vice Presidente di CASACONSUMPROPRIETA’

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