Salva – banche a spese dei risparmiatori

Federproprietà e “La Proprietà Edilizia” avevano segnalato già da mesi il pericolo per i correntisti, azionisti e obbligazionisti che sarebbe derivato dall’applicazione delle nuove norme Ue
di Sergio Menicucci
Disperazione, proteste con sit-in davanti al Parlamento, cartelli al collo con la scritta “vittima del Salva banche, ridateci i nostri soldi”, caos tecnico e giuridico, scontro Italia – Bruxelles sul “salva clien-ti”. I 130 mila piccoli azionisti e i diecimila detentori di bond subordinati di quattro banche in crisi, (Banca Etruria, Banca Marche, Cassa di risparmio di Ferrara, CariChieti) salvate dal decreto del Gover-no del 22 novembre con cui è stato azzerato il capitale, non ci stanno a pagare per colpe che non sono prevalentemente loro.
FEDERPROPRIETÀ e “La Proprietà Edilizia” avevano da mesi segnalato il pericolo incombente per i correntisti, azionisti e obbligazionisti che sarebbe derivato dall’applicazione delle nuove norme sul cosiddetto “bail in” europeo sulle conseguenze dei fallimenti bancari.
Di fronte al precipitare della situazione anche alcune organizzazioni dei consumatori hanno già rac-colto le firme di oltre tremila risparmiatori decisi a intraprendere le vie legali per ottenere il rimborso totale delle loro sottoscrizioni. Non sono disposti ad accettare quella che considerano “un’elemosina”, ossia il rimborso di un terzo del capitale andato in fumo perché investito in una delle quattro banche.
L’Etruria ha 60 mila tra azionisti e sottoscrittori di bond subordinati con perdite per 442 milioni di euro, Banca Marche ne ha 44 mila ed ha perso un miliardo e 41 milioni, CariFe 22 mila e 191 milioni di perdite e CariChieti 6 mila e 141 milioni di perdite.
Tutti si erano fidati dei suggerimenti dei vertici degli istituti di credito. Tante storie di risparmiatori che hanno investito 5, 10, 20, 30 mila euro, sottoscrivendo contratti con la scritta “rischio medio-basso”. Inoltre, spesso mancava il prospetto informativo ma quasi sempre avevano avuto affidamento che l’investimento era sicuro e che la banca non sarebbe mai fallita. Il tasso poi non era certo da specu-latori anche se invogliante: circa 2,6% netto.
Il risveglio alla realtà è stato amaro. I circa 130 mila risparmiatori si sentono raggirati, beffati e addi-rittura derubati anche se il premier Renzi sta tentando di giustificare il decreto salva-banche con la ne-cessità di proteggere “banche, lavoratori, correntisti”, impegnandosi ora a trovare una soluzione di aiuto dopo lo scoppio del caos e delle proteste, molte forti nella sua Toscana e nella banca legata al padre.
La creazione, però, di un Fondo di solidarietà di circa 100 milioni (20 dallo Stato e 80 da parte delle 208 banche italiane che nell’operazione hanno già messo 3,6 miliardi) scontenta tutti. Primo perché le perdite totali si aggirerebbero sui 300-350 milioni; in secondo luogo ci sono i paletti e i limiti di Bruxel-les sugli aiuti di Stato. Un’ipotesi allo studio è di permettere ai risparmiatori che hanno perduto i loro soldi con le obbligazioni subordinate, di maturare un credito d’imposta pari alla perdita di valore dei lo-ro titoli da utilizzare però sulle tasse da pagare per eventuali altri investimenti.
L’impatto è stato grande con vaste reazioni, anche politiche, a partire dai parlamentari 5 Stelle. L’ex premier, Silvio Berlusconi, è stato molto severo: «Il governo e la Banca d’Italia dovevano vigilare e dare l’allarme per tempo», impedire cioè che la situazione di crisi precipitasse. Sull’altro versante ci sono co-loro per i quali «i risparmiatori non sono stati truffati: hanno siglato contratti regolari».
Non è così per i manifestanti che sono arrivati in massa a Roma urlando a piazza Montecitorio «questa è una rapina legalizzata». Dopo i casi delle quattro banche nominate restano in grande difficoltà altri 10 piccoli istituti di cui alcune Banche di credito cooperativo (BCC). A spese di chi avverrà il salva-taggio delle crisi residue?
È iniziato così il tipico sistema italiano di scaricabarile sulle cause che hanno provocato lo scon-quasso. Cerchiamo di capire.
La questione era emersa già durante la vicenda dei “derivati” sottoscritti dai cosiddetti operatori non qualificati e con i bond argentini e Parmalat. La responsabilità maggiore è degli organi che devono vigilare oppure della scarsa conoscenza dei meccanismi da parte del cliente-risparmiatore?
C’è un diritto a essere informati ma anche un dovere d’informarsi, bene, su quello che si acquista. L’economista Luigi Zingales ha richiamato il brocardo “caveat emptor”, cioè il compratore deve stare at-tento a quello che acquista. È anche la tesi del presidente della Consob Giuseppe Vegas secondo il qua-le i risparmiatori erano informati sui rischi che si corrono a sottoscrivere un bond subordinato. «C’è un avviso, aggiunge, sul profilo di rischio nel prospetto dei bond subordinati» nel senso che «l’investimento nelle obbligazioni sui bond subordinati comporta per gli investitori il rischio nel caso di liquidazione o di sottoposizione a procedure concorsuali» etc.
Le banche si sono messe al sicuro? No, hanno gridato i manifestanti, perché quelle clausole nel mi-gliore dei casi sono scritte in caratteri minuscoli e poco spiegate. Hanno creduto al funzionario di banca che “garantiva” un investimento “sicuro”, con un rischio “medio-basso”, assicurando che la banca non sarebbe fallita. In realtà le obbligazioni sono state vendute a risparmiatori poco esperti, allettati dalla prospettiva di ottenere elevati tassi d’interesse.
Cosa non ha funzionato? In primo luogo le cause che hanno portato a una montagna di sofferenze (in sostanza le quattro banche sono state messe in risoluzione o liquidazione ordinaria per non farle chiudere sotto il peso dei crediti in default), in secondo luogo è saltato il rapporto fiduciario tra consu-lente finanziario e risparmiatore (non è assolutamente ragionevole far investire tutti i risparmi di una 88enne in un’obbligazione subordinata), in terzo luogo non ha funzionato la direttiva Ue denominata MIFID (Markets in Financial Instruments Directive).
La gravità di quanto accaduto nelle quattro banche è che con il decreto Renzi gli azionisti e gli ob-bligazionisti si sono visti azzerare in una notte tutti i loro investimenti. Un intervento, definito dal Mini-stro dell’economia Padoan, come «di risoluzione gestito dalla Banca d’Italia che il governo ha solo auto-rizzato» sulla falsariga delle norme europee sul “bail in” che sarebbero però entrate in vigore dal primo gennaio 2016.
In fumo sono andati 2,6 miliardi di cui 800 in bond di 130 mila persone in Regioni governate dalle sinistre.
La cattiva gestione delle banche coinvolte era nota da tempo, come lo erano i problemi del Monte dei Paschi di Siena nel cui Cda la maggioranza è detenuta dagli amministratori del Comune e della Pro-vincia, in maggioranza espressi dal partito di cui Renzi è segretario.
Il vero tema di oggi, ammette l’amministratore delegato di MPS, Fabrizio Viola (che sta cercando di rilanciare la più antica banca italiana dopo 800 milioni di tagli), sono i bond subordinati, categoria di strumenti che devono essere destinati a investitori istituzionali e non al retail.
L’altro grave problema sono i 340 miliardi di crediti dubbi, conseguenza di una delle più lunghe re-cessioni d’Europa. Ma anche di gestione del credito a favore degli “ amici degli amici”, ossia erogato su pressioni politiche. Si è così arrivati a parlare della creazione di un «mercato efficiente delle sofferenze».
L’azzeramento del capitale e del debito subordinato dei quattro istituti ex commissariati sarebbe stato una pre-condizione posta dalla comunicazione della Commissione europea sul settore bancario in caso di salvataggi effettuati attraverso il Fondo di risoluzione. Altrimenti gli interventi sarebbero stati considerati aiuti di Stato che sono proibiti dall’Ue. L’orientamento dell’Ue su «risanamento e risoluzio-ne» degli istituti di credito è noto dal 15 aprile 2014, quando fu varata dall’Europarlamento di Strasbur-go una direttiva per mettere fine ai salvataggi pubblici delle banche in dissesto.
A febbraio 2016 dovrebbe così partire l’asta per la vendita delle banche salvate. Spetterà al banchie-re trentino Roberto Nicastro, nominato presidente della good bank nata dal salvataggio, guidare la task force di 70 persone per garantire la chiusura dei bilanci, pagare gli stipendi, e scorporare le bad bank per riavviare il motore degli istituti e vendere.
Ancona, Ferrara, Arezzo, Chieti, dove sono più numerosi i clienti che hanno perduto tutti i loro ri-sparmi, stanno vivendo giornate d’angoscia.
Il problema bancario non si chiude qui. È più complesso perché va riformato l’intero sistema delle BCC (riguarda 371 istituti, 6 milioni di clienti, 4.450 sportelli, con 37 mila dipendenti e un milione e 230 mila soci), che sono a una svolta. Le vecchie casse rurali dovrebbero cambiare volto con l’autoriforma in discussione al Senato. Dopo il contestato decreto Renzi di gennaio 2015 sulle Banche popolari ora tocca alle Federcasse.
Ed è stretta da parte della Banca d’Italia sul “prestito sociale” che le Coop offrono ai soci. Un fe-nomeno del valore di circa 11 miliardi che deve essere meglio disciplinato per garantire trasparenza e tutela dei sottoscrittori del prestito che è certamente «espressione del rapporto di mutualità tra socio e coop» ma anche luogo dove si nascondono comportamenti elusivi.
Conclusione. Il caso delle quattro banche salvate con sacrifici richiesti anche agli investitori privati ha messo in luce l’alto livello di rischio delle obbligazioni subordinate bancarie. Erano state finora con-siderate sicure ed erano ampiamente sponsorizzate per i portafogli degli investitori privati e professio-nali. In sostanza offrivano rendimenti elevati a fronte di un rischio tutto sommato accettabile. Al mas-simo era differito o annullato temporaneamente il pagamento della cedola.
Non è più così. L’applicazione delle regole in materia di salvataggi bancari (bail-in) prevede, come già segnalato dalla Federproprietà, che nei casi di gravi difficoltà degli istituti di credito possono essere chiamati a ripianare le perdite, gli azionisti, gli obbligazionisti dei derivati subordinati e infine i correnti-sti per le somme depositate sopra i 100 mila euro. Anche il Governatore della Banca d’Italia Vincenzo Visco aveva suggerito, a maggio di quest’anno, nelle sue Considerazioni finali, l’opportunità di riservare l’acquisto degli strumenti più rischiosi solo a investitori professionali. Ma non fu ascoltato.
In sostanza, per i clienti delle quattro banche sono stati anticipati i tempi d’attuazione di norme eu-ropee. E per chi ha ancora in portafoglio questo tipo di bond? C’è incertezza di fronte ad una normativa che cambia.
Gli scenari, in generale, non sono buoni per i risparmiatori e, come osserva il Censis, chi ha qualche euro di risparmio lo mette sotto il materasso. Rendimenti e tassi d’interesse di breve termine d’altra par-te sono di segno negativo. E i conti correnti bancari ormai costano, non rendono.

Articoli Correlati