Stato e Regioni nella riforma costituzionale

Radicali innovazioni chiarificatrici nei rapporti fra istituzioni con le modifiche al titolo V della parte II

di Gabriele Troilo

Il clamore che ha accompagnato l’esame e il dibattito fuori e dentro il Senato sul disegno di legge governativo (AS n. 1429), per quanto attiene all’abbandono del sistema parlamentare paritario sancito dalla nostra Costituzione per le due assemblee, ha posto nell’ombra l’altra importante revisione che interessa i rapporti Stato-Regioni dal momento che l’attuale titolo V della parte II è stato oggetto da più parti di pesanti critiche che fin dall’attuale formulazione di esso (risalente alla legge costituzionale n. 3/2001) ne hanno messe in luce le difficoltà applicative concretatesi in un cospicuo contenzioso innanzi alla Corte costituzionale e in gravi intoppi all’ordinamento e al proficuo esplicarsi dell’azione amministrativa ai vari livelli, come i nostri lettori ben sanno per i numerosi articoli in proposito pubblicati.
Il fulcro della riforma (ancora in itinere ma improbabilmente modificabile) è costituito dall’integrale sostituzione dell’art. 117 che prevedeva:
1) una potestà legislativa delle regioni nelle materie non espressamente riservate allo Stato (co. 4)
2) la potestà esclusiva dello Stato in una serie di materie specifiche (co. 2);
3) l’attribuzione alla legislazione concorrente di un’altra serie d materie, con la statuizione che in tali materie alle Regioni spetta la potestà legislativa, salvo per la determinazione dei principi fondamentali riservata allo Stato (co. 3).
Se si dà una ancorché rapida scorsa al predetto co. 3 ci si accorge che il costituente ha esteso la legislazione concorrente a materie che difficilmente possono essere sottratte a valutazioni di carattere unitario per garantire il principio della parità dei diritti a tutti i cittadini: si pensi anzitutto ad es. tutela della salute, tutela e sicurezza del lavoro, alimentazione, produzione, trasporto e distribuzione di energia, protezione civile, grandi reti di trasporti e di navigazione, ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi, governo del territorio (al quale più volte La Proprietà Edilizia ha dato ampio risalto). D’altro canto lo Stato poche volte è intervenuto a fissare i principi per il corretto esplicarsi della legislazione concorrente, né è valso a evitare casini il richiamo, contenuto nella legge n. 131/2003, ai principi desumibili delle leggi statati vigenti, nel caso in cui non vi fosse l’espressa definizione di essi.
Con la nuova formulazione dell’art. 117 si è abolita la categoria della legislazione concorrente e si è data una maggiore estensione alla potestà legislativa esclusiva dello Stato che si è giustamente riappropriato (proprio in funzione del principio della parità di diritti tra tutti i cittadini) di materie fondamentali (co. 2)
Nel contempo pur non essendosi affatto eliminata la potestà residuale delle Regioni, si è fatto luogo a specifiche materie a esse attribuite (co. 3), mentre lo Stato si è riservato la facoltà di intervenire in qualsiasi materia «quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica ed economica della Repubblica ovvero la tutela dell’interesse nazionale» (co. 4).
Per completezza riportiamo di seguito le materie di legislazione esclusiva dello Stato più significative: 1) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; 2) immigrazione; 3) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose; 4) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari e assicurativi; 5) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali; 6) cittadinanza, stato civile e anagrafi; 7) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa; 8) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per le politiche sociali e per la sicurezza alimentare; 9) disposizioni generali e comuni sull’istruzione; ordinamento scolastico; 10) previdenza sociale; 11) ordinamento, legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni e Città metropolitane; 11) tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici; ambiente ed ecosistema, ordinamento sportivo, disposizioni generali e comuni sulle attività culturali e sul turismo; 12) disposizioni generali e comuni sul governo del territorio; sistema nazionale e coordinamento della protezione civile; 13) infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e di navigazione d’interesse nazionale e relative norme di sicurezza; porti e aeroporti civili, di interesse nazionale e internazionale.
Può chiudersi questa sommaria rassegna delle principali novità contenute nella riforma titolo V con la citazione di un’altra rilevante facoltà attribuita con legge dello Stato, alle Regioni a statuto ordinario in tema di “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” in alcune materie di legislazione esclusiva statuale (art. 116, co. 3) purché le Regioni siano in condizione di equilibrio del proprio bilancio.
Se questo è il quadro delle più importanti innovazioni, non può mancare qualche osservazione critica in vista degli esiti finali della riforma a partire dalle conseguenze non soltanto sull’ordinato svolgersi dell’azione amministrativa delle varie istituzioni, ma anche sull’eliminazione dell’abnorme contenzioso prodottosi innanzi alla Corte costituzionale a causa delle obiettive difficoltà interpretative del testo che si va a sostituire.
È inutile però nascondersi che, come tutte le disposizioni di largo respiro e portata, quali in genere quelle costituzionali, anche le innovazioni in argomento postulano un’attuazione che in buona sostanza sarà frutto di valutazioni di carattere politico, fermo il principio di leale collaborazione fra istituzioni.
Si pensi alla possibilità per lo Stato d’intervenire in materie non a esso riservate quando lo richieda la tutela dell’interesse nazionale, ma anche la possibilità di attribuire alle Regioni ulteriori competenze sia pure in limitate materie. Sono esempi estremi per i quali nessuno può negare valutazioni eminentemente politiche, ma il fatto stesso che le norme statali o regionali relative all’attuazione del dettato costituzionale siano oggetto di dibattito parlamentare o consiliare implica valutazioni quantomeno di politica legislativa, cioè su ciò che serve in quel momento al Paese, in armonia con i principi dell’ordinamento giuridico.
Qui comunque può dirsi che sicuramente è stato compiuto con questa riforma un passo avanti in termini di chiarezza sul tema della delimitazione delle facoltà dello Stato e delle Regioni, ma anche con l’indubbio rafforzamento del potere d’intervento dello Stato, non soltanto in presenza d’impedimenti delle Regioni (con le modificazioni all’art. 120 si arriva alla possibilità di rimozione dei titolari di organi di governo regionali) con conseguente maggiore tutela dei diritti e degli interessi dei cittadini.
Forse si poteva fare di più, dal momento che non viene neanche sfiorato il tema, pur discusso e anche auspicato da buona parte dell’opinione pubblica e delle forze politiche, del passaggio dalle attuali Regioni a poche Macroregioni, per intuibili ragioni di risparmio delle risorse pubbliche e per il concreto raggiungimento di più accettabili livelli di efficienza; di fatto il Governo e il Parlamento hanno ritenuto di accantonarlo per ragioni di politica contingente, considerando al momento sufficiente la disposizione dell’art. 117 che già prevede esplicitamente intese tra le Regioni «per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con l’individuazione di organi comuni».
Inoltre una riforma costituzionale di così vasta portata avrebbe potuto anche contenere qualche specificazione in ordine al principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118, co. 4, tenuto conto che l’autonoma iniziativa dei cittadini per lo svolgimento di attività d’interesse generale deve in qualche modo coordinarsi con l’azione amministrativa delle istituzioni (Stato, Regioni, enti locali, espressamente citate dalla norma), iscrivendosi, ad esempio, nell’ambito dei programmi di ciascuna di esse anche per coinvolgerne la responsabilità di fronte agli altri cittadini; si aggiunge che tale scopo può in teoria essere raggiunto attraverso leggi ordinarie, statali o regionali, o anche provvedimenti regolamentari, ma il supporto di indicazioni di livello costituzionale avrebbe senz’altro agevolato l’attuazione della norma.
Possiamo concludere queste note di commento, uscendo apparentemente dall’argomento dei rapporti Stato-Regioni, per parlare dell’occasione perduta con l’istituzione di un Senato tutto volto alla rappresentanza delle autonomie, senza alcun riguardo alla rappresentanza delle categorie, che proprio nel momento dell’auspicato abbandono del bicameralismo paritario, vi avrebbe potuto trovare adeguata collocazione nell’interesse della Nazione e dei cittadini.

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