L’assenza di forma scritta nel contratto di locazione abitativa

Secondo la Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza n. 18214/15;  l’assenza della forma scritta è sanabile nei modi, forme e termini riportati all’art. 13 l. n. 431/1998. In ragione di ciò, compito del giudice sarà quello di accertare l’assenza di forma scritta, accertare che tale mancanza sia riconducibile alla volontà esclusiva del locatore, determinare il canone dovuto e, ove occorra, condannare il locatore alla restituzione del canone eventualmente incamerato in eccedenza. Requisito necessario è l’accertamento della posizione predominante del locatore che deve consistere in una inaccettabile pressione finalizzata a costringere il conduttore ad un contratto in forma verbale. Invece, se l’assenza di forma è riconducibile a volontà esclusiva o concorrente del conduttore il locatore potrà agire per ottenere la restituzione dell’immobile occupato senza titolo.  Dopo i recenti interventi della Corte Costituzionale (che con le sentenze nn.  50/2014 e 169/2015 ha definitivamente dichiarato la incostituzionalità della normativa che aveva permesso la registrazione dei contratti in nero, imponendo un contratto di locazione d’imperio di 4 + 4 anni con canone pari al triplo della rendita catastale dell’immobile), sono intervenute le Sezioni Unite della Cassazione che hanno definito il concetto di nullità nei contratti di locazione orali. La linea, tracciata da Cass. Sez. Unite n. 18214/15, prevede che se il conduttore riesca a provare che la forma orale fu imposta dal locatore, questi non potrà chiedere risarcimento per l’occupazione dell’immobile, mentre invece l’inquilino potrà chiedere la restituzione di quanto pagato in più sulla base degli accordi locali fra associazioni di categoria degli inquilini e dei proprietari. Se invece la mancata registrazione è frutto dell’accordo tra inquilino e proprietario, potrà scattare la normale azione di nullità da parte del locatore, con richiesta del danno e dell’occupazione senza titolo. La prova che la forma orale fu imposta dal proprietario è a carico dell’inquilino.

LOCAZIONE AD USO ABITATIVO – REGISTRAZIONE PER CANONE INFERIORE AL REALE – CONSEGUENZE EX ART. 13 DELLA L. N. 431 DEL 1998.

Le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione con la sentenza n. 18213 (Presidente: L. A. Rovelli – Relatore: G. Travaglino), risolvendo una questione di massima, hanno affermato che, ai sensi dell’art. 13, comma 1, della L. n. 431 del 1998, in ipotesi di locazione ad uso abitativo registrata per un canone inferiore al reale, il contratto resta valido per il canone apparente, mentre l’accordo simulatorio relativo al maggior canone è affetto da nullità, insanabile dall’eventuale registrazione tardiva. Tale ipotesi si verifica quando locatore e conduttore, dopo aver indicato un determinato canone di locazione, nel contratto destinato ad essere registrato, concludano una scrittura a latere nella quale fissano il valore reale di quanto il conduttore dovrà corrispondere al locatore. Ci si è chiesti allora se una tale controdichiarazione violi l’art. 13 comma 1 l. 431/1998, ai sensi del quale “è nulla ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato”. A sostegno di tale soluzione vengono così richiamati gli interventi normativi con cui il legislatore ha previsto la nullità dei contratti di locazione non registrati (art. 1 comma 346 legge 311/2004) ovvero indicato quale sia la disciplina da applicare agli stessi (art. 3 commi 8 e 9 legge 23/2011), nonché quanto previsto dalla legge 212/2000, secondo cui “le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributario non possono essere causa di nullità del contratto”.

Inoltre la Corte chiarisce che la questione in esame va certamente ricondotta nel fenomeno della simulazione relativa, stante la presenza di una controdichiarazione, nella quale è indicato il canone di locazione reale, che dimostra la volontà dei contraenti di concludere un contratto in parte diverso da quello registrato. I giudici però precisano che la presenza di un contratto “ufficiale” e di una successiva controdichiarazione non deve far pensare a due diverse e materialmente separate convenzioni negoziali poiché “tanto nel caso della simulazione assoluta, quanto in quello della simulazione relativa, l’atto stipulato dalle parti è unico”; ciò in quanto “la cd. controdichiarazione non è altro che uno strumento probatorio idoneo a fornire la “chiave di lettura” del negozio apparente”. Pertanto, nel caso di specie, si è in presenza di una simulazione oggettiva di prezzo, poiché le parti deducono nel contratto di locazione registrato un canone minore di quello reale, né alcun rilevo assume la circostanza che la controdichiarazione abbia natura unilaterale o contrattuale, trattandosi, come detto, di un atto avente una mera finalità probatoria ed interpretativa.

Ricondotta la fattispecie nell’alveo della simulazione relativa, la Corte giunge a considerare nullo non l’intero contratto di locazione (registrato) bensì soltanto la pattuizione contenente l’indicazione del canone maggiorato. Ciò in quanto “la sostituzione, attraverso la controdichiarazione, dell’oggetto apparente (il prezzo fittizio) con quello reale (il canone effettivamente convenuto) contrasta con la norma imperativa che tale sostituzione impedisce, e pertanto lascia integra la unica convenzione negoziale originaria, oggetto di registrazione”. Inoltre, proprio perché la nullità della controdichiarazione deriva dalla nullità della causa concreta del contratto di locazione, in quanto caratterizzata dalla vietata finalità di evasione fiscale – e non dunque semplicemente dall’omessa registrazione del medesimo – nessuna efficacia sanante può assumere la successiva registrazione del contratto.

 

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