L’amministratore cessato dalla carica non può percepire un compenso se c’è la volontà contraria dell’assemblea

Secondo la Corte di Cassazione con ordinanza n. 12120, pubblicata in data 17 maggio 2018, il permanere dei poteri gestori in capo all’amministratore congedatosi per dimissioni ovvero per scadenza del termine annuale di cui all’art. 1129 Cc, risponde ad esigenze di interesse del condominio alla consequenzialità nella gestione dell’immobile e nella presunzione di una conforme volontà dei condòmini. Tuttavia, quando la volontà degli stessi risulti contraria alla permanenza di tali poteri in favore dell’amministratore uscente, questi non avrà diritto ad alcun compenso. In altre termini, i compiti dell’amministratore cessato dalla carica e, pertanto, in regime di prorogatio, debbono ora limitarsi a quelli che, secondo il criterio del “buon padre di famiglia“, appaiono indifferibili, e tanto allo scopo di evitare il possibile, anche se non certo, nocumento ( Cass. n. 13418/2014; Cass. n. 4330/2012). Ecco che allora ogni altro compito risulterebbe quindi precluso all’amministratore in prorogatio, fatto salvo il generalizzato potere dell’assemblea di ratificare comunque l’operato dello stesso quand’anche esorbitasse dagli anzidetti limiti, sotto pena, in mancanza, di invalidità delle determinazioni gestorie medio tempore adottate dall’amministratore.

 

 

 

 

Articoli Correlati