IL “LUOGO” DELLA RIUNIONE DI CONDOMINIO: IN PRAESENTIA O (ANCHE) DA REMOTO?

di Alberto Celeste – Magistrato

Uno degli argomenti più dibattuti durante la particolare situazione nazionale dovuta alla pandemia da coronavirus è sicuramente quello relativo alla possibilità di tenere assemblee condominiali da remoto.

La telenovela si è conclusa con l’approvazione della legge 13 ottobre 2020, n. 126, la quale, convertendo con modificazioni il decreto-legge 14 agosto 2020, n. 104, ha dato cittadinanza nel nostro ordinamento all’assemblea condominiale “in modalità di videoconferenza” mediante apposita piattaforma.

E’, quindi, opportuno fare di queste ultime necessità …. virtù, nel senso di prendere spunto da tale crisi (sanitaria ed economica) per approntare modalità di svolgimento delle assemblee condominiali più “confortevoli”, sempre nel rispetto della legge, approfittando anche dello sviluppo delle moderne tecnologie.

Al fine di perimetrare l’istituto di nuovo conio, preliminarmente, va delineata la cornice di riferimento normativo, prendendo le mosse dal codice civile del 1942, con le modifiche apportate dalla legge di riforma del 2013, e quella della legislazione emergenziale stratificata nei vari decreti-legge. 

Orbene, il comma 3 dell’art. 66 disp. att. c.c. novellato dalla legge n. 220/2020 – entrata in vigore il 18 giugno 2013 – rispetto al vecchio testo che era silente sul punto, menziona il “luogo della riunione” tra gli aspetti contenutistici dell’avviso di convocazione, ma continua a non offrire alcuna indicazione al riguardo.

Pertanto, nel silenzio della legge – nelle società per azioni, l’art. 2363 c.c. prescrive, invece, che l’assemblea sia convocata “nel Comune dove ha sede la società, se lo statuto non dispone diversamente” – e, in difetto di disposizioni specifiche del regolamento di condominio sul punto, la relativa determinazione è ancora oggi rimessa alla discrezionalità dell’amministratore, secondo il buon senso e criteri di opportunità.

Allo stato attuale, tra le pronunce di legittimità si rinviene solo la remota Cass. 26 giugno 1958, n. 2284 (non massimata), circa la sala della sede di un partito politico, purché sufficientemente ampia, non potendosi pensare a pregiudiziali politiche, mentre le scarse pronunce di merito attengono al regime precedente (v., soprattutto, Trib. Imperia 20 marzo 2000, in Riv. giur. edil., 2000, I, 1081; sul versante dottrinale, si consenta il rinvio a Celeste, Luogo e data dell’assemblea di condominio, in questa Rivista 2007, fasc. 3, p. 43 ss.).

Si può, tuttavia, ragionevolmente convenire che, nella scelta della sede della riunione dell’assemblea condominiale, l’amministratore incontri due limiti.

Il primo limite è di carattere “territoriale”, nel senso che la predetta riunione deve comunque avvenire entro il confine della città dove si trova l’edificio condominiale e non in un Comune diverso (specie quando il condominio sia costituito da soggetti residenti).

Soltanto quando le assemblee riguardano condominii siti in località di villeggiatura, sembra opportuno che le riunioni si svolgano in loco, ossia negli stessi luoghi dove si trascorrono le ferie e nei periodi di vacanza nei quali sussiste il maggior numero di condomini (si pensi ad un’assemblea convocata a ferragosto in località di mare o durante le festività natalizie per soggiorni montani).

A meno che la totalità dei frequentatori, o quantomeno la maggioranza – salva la prova che la scelta del luogo sottenda l’intento specifico discriminatorio di rendere impossibile la partecipazione all’assemblea di un determinato condomino – abbia la residenza in un dato Comune (si pensi ad una seconda casa in Abruzzo vicino ad una grande città come Roma).

In quest’ottica, risulta pienamente condivisibile il convincimento di un magistrato siculo (v. Trib. Sciacca 18 ottobre 2007, in Immobili & diritto, 2008, fasc. 5, 42), secondo il quale va considerata legittima la convocazione dell’assemblea condominiale fuori del Comune di ubicazione dell’edificio, sito in zona di villeggiatura e costituito da non residenti per oltre la metà, in quanto ciò agevola la partecipazione alla formazione della volontà collegiale, corrispondendo, così, alle obiettive esigenze ed agli interessi della maggioranza dei condomini.

Il secondo limite è di carattere “oggettivo”, e concerne l’idoneità intrinseca del luogo delle riunioni sotto il profilo ambientale, nel senso che il posto scelto deve offrire affidamento per la partecipazione potenziale di tutti i condomini – può svolgersi in un locale destinato ad hoc per le riunioni oppure avente altre destinazioni purché, ad esempio, non si tratti di un locale insalubre o troppo angusto in modo da non contenere comodamente tutti i partecipanti – e per l’ordinato svolgimento della discussione, anche sotto il profilo della riservatezza (si pensi alla sala sita nella vicina parrocchia, all’appartamento messo a disposizione da un condomino, all’ufficio dell’amministratore, e non, ad esempio, in una località difficilmente raggiungibile).

Fin qui la normativa codicistica, come emendata dalla Riforma del 2013, per cui vediamo ora cosa stabiliva la legislazione c.d. emergenziale.

La soluzione appariva tranchant nella c.d. fase 1 – ossia quella temporanea del picco della pandemia – laddove si vietavano “le manifestazioni o iniziative … e ogni forma di riunione … in luogo privato” (v., ad esempio, il decreto-legge n. 6/2020 per le c.d. zone rosse e l’art. 1, comma 1, lett. c, del d.p.c.m. 1° marzo 2020), e si inibivano, altresì, spostamenti tra Comuni, se non per comprovate esigenze di lavoro, salute o urgente necessità, tra quali non potevano annoverarsi le riunioni condominiali.

Nella c.d. fase 2, va, innanzitutto, evidenziato che la decretazione d’urgenza non si è occupata specificatamente della materia condominiale, e non si sa se questo è frutto di una consapevole presa di posizione, atteso che, riguardo ad analoghe forme di svolgimento assembleari, il legislatore ha ritenuto, invece, di intervenire.

Si fa riferimento, nello specifico, all’art. 106 del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (c.d. cura Italia) – convertito, senza modificazioni sul punto, dalla legge 24 aprile 2020, n. 27 – il quale ha stabilito che, con l’avviso di convocazione delle assemblee che si terranno entro il 31 luglio 2020, o entro la data fino alla quale è in vigore lo stato di emergenza connesso all’insorgenza dell’epidemia da Covid-19, relative a società per azioni, società in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata, società cooperative, mutue assicuratrici, associazioni e fondazioni, si possono prevedere, anche in deroga alle diverse disposizioni statutarie, l’espressione del voto in via elettronica o per corrispondenza e l’intervento all’assemblea mediante mezzi di telecomunicazione, oppure anche “lo svolgimento esclusivo dell’assemblea mediante mezzi di telecomunicazione che garantiscano l’identificazione dei partecipanti, la loro partecipazione e l’esercizio del diritto di voto, senza la necessità che si trovino nel medesimo luogo”, ove previsti, il presidente, il segretario o il notaio (per le società a responsabilità limitata, si è, altresì, consentito addirittura che l’espressione del voto possa avvenire mediante consultazione scritta o per consenso espresso per iscritto).

In proposito, il Consiglio notarile di Milano aveva correttamente osservato – con rilievi esportabili in toto anche nell’àmbito condominiale – che nessuna disposizione di legge impone espressamente la compresenza “fisica” degli intervenuti in uno stesso luogo: i termini “partecipazione”, “intervento”, “presenza”, adoperati dagli artt. 2368 c.c. e da altre norme (sia codicistiche che della legislazione speciale), non selezionano alcuna particolare modalità di partecipazione, di intervento o di presenza.

Anzi, tali espressioni dovevano essere lette in senso ampio, come comprensive della fattispecie in esame – alla quale le citate disposizioni si applicavano, dunque, in via diretta e non analogica – in forza dei canoni di interpretazione estensiva (all’interno dello spazio individuato dalla lettera della legge), teleologica (cioè in rapporto alla finalità perseguita, ossia consentire il dibattito e la votazione simultanei) ed evolutiva (che imponeva di tener conto di ciò di cui non poteva tener conto il legislatore storico del codice civile del 1942).

Ma anche a non voler seguire la tesi dell’interpretazione estensiva, la giurisprudenza si era mostrata sempre sensibile a quella analogica, per evidente identità di ratio, ogni qual volta si trattava di applicare norme e principi societari nella materia condominiale (v., tra l’altro, con riferimento all’art. 2377 c.c.).

Per il resto, cadute le preclusioni correlate allo spostamento, prima, tra Comuni e, poi, tra Regioni, rimane ancora il divieto di assembramenti o, detto in altri termini, l’obbligo del c.d. distanziamento sociale, il che milita sempre di più a recepire l’iniziale suggerimento, in generale, di “adottare, in tutti i casi possibili, nello svolgimento delle riunioni, modalità di collegamento da remoto” (v. art. 1, lett. q, del d.p.c.m. 8 marzo 2020).

Escludendo la modalità per corrispondenza, che non assicura la contestualità della discussione e la simultaneità della votazione, non sembrano sussistere, sul versante prettamente “giuridico”, ostacoli ad una partecipazione “virtuale” ed un’espressione di voto che, ai fini probatori, può essere oggetto di registrazione, da allegare al verbale ex art. 1136, comma 7, c.c. redatto dal presidente/moderatore della riunione da remoto.

Altre sono, ovviamente, le difficoltà sotto il profilo “operativo” – collegamento alla rete, capienza della linea, possesso di dispositivi idonei, intervento a distanza, ecc. – attese le imprescindibili necessità di assicurare l’identificazione dei partecipanti, l’effettivo dibattito assembleare, il confronto dialettico e paritario delle varie opinioni, la trasparente e ponderata manifestazione della volontà di ciascuno, e quant’altro.

Tuttavia, sicuramente i nuovi mezzi di telecomunicazioni risolveranno queste problematiche “tecniche”, sicché, pure per il futuro non legato all’epidemia da Covid-19, la videoconferenza – anche nella forma “mista”, ossia per chi vuole in praesentia e per chi lo desidera da remoto – ora sdoganata dal patrio legislatore, con i dovuti accorgimenti del caso, potrà soddisfare quel metodo collegiale e quel principio maggioritario che costituiscono l’essenza dell’assemblea condominiale e delle meditate delibere in essa adottate.

In questa prospettiva, già la Riforma del 2013, disciplinando nel nuovo art. 71-ter disp. att. c.c. il sito internet del condominio, aveva anticipato (inconsapevolmente) questa contingente situazione critica, consentendo (implicitamente) le riunioni “virtuali” sugli argomenti posti preventivamente all’ordine del giorno nell’avviso di convocazione, ma discussi e votati, “in diretta”, nello stesso contesto spazio-temporale.

Circa le conseguenze correlate all’errato luogo di svolgimento dell’assemblea, consta una sola pronuncia dei giudici di Piazza Cavour (v. Cass. 22 dicembre 1999, n. 14461, in Rass. loc. e cond., 2000, 501), ad avviso dei quali deve considerarsi “nulla” la delibera adottata se la convocazione non indica il luogo di riunione: nella specie, si era ritenuta congrua la motivazione del giudice di merito sull’assoluta incertezza del luogo non indicato nell’avviso di convocazione, ma la soluzione non convince perché i condomini conoscevano ove solitamente si svolgevano le assemblee e, peraltro, vi avevano partecipato anche coloro che avevano proposto impugnazione (diverso, ovviamente, il caso in cui, in forza dell’espressa indicazione contenuta nel regolamento – si pensi all’ex alloggio del portiere – si renda inutile la specificazione del luogo).

Ad ogni buon conto, si è dell’opinione per cui eventuali difetti relativi alla regolare costituzione/svolgimento dell’assemblea in videoconferenza siano da correlare all’iter formativo della maggioranza assembleare, e non all’eccedenza delle competenze dell’organo gestorio, sicché l’eventuale vizio della conseguente delibera debba essere inquadrato nell’alveo della “annullabilità” ex art. 1137 c.c.

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