altra mazzata sulla casa con l’eventuale riforma del catasto

Mercato immobiliare sempre all’attenzione del fisco. Gira e rigira, lo Stato prima o poi dovrà trovare la strada per raggranellare i soldi spesi per l’emergenza sanitaria. E, come noto, utilizzare la casa come bancomat per il contribuente pare la via più semplice e immediata per fare cassa. Inutile pensare a imposte patrimoniali sui conti correnti o sui depositi (che peraltro già ci sono). Il modo più rapido per fare cassa — scrive il sito Investireoggi.it — è bastonare le case. Gli italiani, amanti del mattone, dispongono di un patrimonio invidiabile a livello mondiale. Una ricchezza mal riposta, secondo alcuni, perché è da lì che lo Stato raccoglie la maggior parte delle imposte (Imu e Tasi). E in un momento in cui il mercato immobiliare soffre maledettamente a causa della crisi, parlare di inasprimento delle tasse sulla casa suona male. Così, non potendo ritoccare le aliquote Imu, qualcuno sta pensando di rivedere le rendite catastali, ferme al 1989. Il che comporterà inevitabilmente l’innalzamento dell’Imposta Municipale Unica a valle. Si parla quindi di riforma del Catasto immobiliare da affrontare, al più tardi, entro il 2023. Il riordino di tutto il sistema della fiscalità immobiliare sembrava ormai archiviato, dopo che la riforma del 2014-2015 era rimasta lettera morta. Ma una proposta di legge del Movimento 5 Stelle la rimette ora in pista. Il testo, a prima firma della deputata Azzurra Cancelleri, è stato incardinato in commissione Finanze pochi giorni fa e chiede di rimettere in moto proprio il provvedimento inattuato del passato esecutivo. Si tratterebbe in buona sostanza — continua Investireoggi.it — di una revisione delle rendite catastali, utilizzando per i calcoli i metri quadri invece che i vani e rivedendo la classificazione delle aree dove gli immobili sorgono, per adeguarle ai tempi. Una rivisitazione immobiliare che dovrebbe portare a una perequazione del sistema, facendo sostanzialmente pagare di più chi oggi paga meno del dovuto e di meno chi oggi in proporzione paga di più. Pietra miliare della riforma sarebbe infatti l’invarianza di gettito, che non significa che per il singolo contribuente o gli enti locali che riscuotono Imu e Tasi nulla cambierebbe. Ma solo che complessivamente l’incasso per lo Stato resterebbe lo stesso (circa 41 miliardi). L’impopolarità di una tale misura, rilanciata dalla Banca d’Italia che ha messo sul piatto la possibile reintroduzione dell’Imu sulle prime case, è probabilmente tra le ragioni che le hanno finora sbarrato la strada. Oltre che le difficoltà che si potrebbero manifestare per gli enti locali qualora nel loro territorio si concretizzasse una diminuzione del gettito di competenza.

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